La terza legge della dinamica afferma che ad ogni azione
corrisponde una reazione di uguale intensità in direzione opposta. Una legge
che spesso riconosciamo applicata anche nelle relazioni interpersonali.
Se
mi insulti, se mi dai uno schiaffo, se mi deridi, se mi fai sentire sbagliata,
incapace, insignificante, tu mi spingi a reagire. Posso reagire copiando le tue
mosse: ti posso, a mia volta, insultare, colpire, deridere. Oppure posso reagire
chiudendomi in me stessa a leccarmi le ferite, a rimuginare, a fartela pagare
con l’ostruzionismo. Posso esplodere o implodere, posso reagire in modo attivo
o passivo. In entrambi i casi la mia è una reazione ad una tua azione, cioè non
agisco liberamente ma reagisco per difendermi.
Quelli
che ho illustrato sono due possibili modi di porsi di fronte ad un attacco
dell’altro. Sono modi apparentemente opposti tra di loro, ma che portano alla
stessa conclusione: fare il suo gioco. Sono due strade opposte che portano a
un’unica meta: cadere nel tranello che l’altro inconsciamente pone; cioè
reagire spinta dal bisogno di difendermi, mettendo in atto una forza opposta e
di uguale intensità a quella da cui sono stata colpita.
Implodere
o esplodere dipendono dalla mia storia, dai miei condizionamenti, dal mio
bagaglio culturale e affettivo, dall’educazione ricevuta da piccola.
Ma è
libertà reagire o è entrare nel gioco dell'altro, confermandolo? Quando
reagisco con le stesse regole del tuo gioco, come posso pensare di poterti
cambiare, o meglio come posso aiutarti a non comportarti più in modo aggressivo
con me? Se mi lascio condizionare, colpire e ferire dalle tue azioni come
faccio a farti capire che il tuo è un modo sbagliato di porsi? Semplicemente
reagendo in un modo o nell’altro ti do atto che con il tuo comportamento
ottieni qualcosa.
Proviamo
a fare un semplicissimo esempio: una banalissima lite fra coniugi. Lui urla a
lei: «Sei la solita ritardataria, non sei mai pronta, dobbiamo partire e tu sei
ancora in bagno a prepararti!». Possibile reazione di lei: esplode, lo
aggredisce insultandolo e sottolineando che lei è in ritardo per tutta una
serie di motivi che gli elenca accusando che lui in casa non fa nulla e che è
in ritardo a causa della sua negligenza. Seconda possibilità: lei implode, si
chiude in un silenzio tombale, si prepara in fretta e non gli rivolge la parola
minimo per tutta la serata e oltre; la storia può scivolare in una logorante
guerra di trincea.
Ma
esiste una terza via? Ovvero invece di reagire allo stimolo subito posso agire?
Posso non lasciarmi influenzare dall’azione dell’altro reagendo di conseguenza?
Posso proseguire per la mia strada restando fedele a me stessa, al mio modo di
comportarmi, alle mie idee, al mio modo di essere? Naturalmente le osservazioni
degli altri mi servono per fare una verifica del mio comportamento: possono
anche aver ragione; di sicuro una parte di verità ce l’ha anche l’altro:
sbagliato è il modo che ha di porsi.
Ma
il problema qui resta la mia reazione all’azione dell’altro e non il suo avere
torto o ragione. Per agire devo aver chiaro dove sono e dove voglio andare e
dove non voglio lasciarmi portare. Esemplare è il modo di agire di Gesù di
fronte allo schiaffo ricevuto dalla guardia durante l’interrogatorio del sommo
sacerdote: “Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male.
Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?».( Gv 18,23). Gesù non subisce
gli eventi, non si lascia trascinare, non si difende a ogni costo, non tenta
vigliaccamente di salvarsi. Gesù è protagonista della scena, non reagisce, Lui
agisce riconducendo l’altro alle proprie azioni cercando di farlo ragionare.
Rivediamo
la scenetta che ho illustrato prima. Come lei può agire senza lasciarsi
condizionare dall’accusa di lui e senza bisogno di difendersi? Può
semplicemente argomentare le sue ragioni e, indifferentemente dalla
comprensione e accettazione da parte dell’altro, non alzare il tono, non
aggredire, non insultare, non reagisce con l’ostruzionismo, ma mantenere la sua
condotta normale e tranquilla.
Questo non significa
diventare impassibili, crearsi un muro che ci separa dal mondo, ma nemmeno
lasciarsi condurre dalla reazione del momento. Si tratta qui di sapere
ascoltare se stessi e l’altro, di sapersi perdonare e saper perdonare, di
capirsi e capire per poi agire per il bene nostro e dell’altro.
In definitiva spesso, soprattutto nelle liti banali che però
possono portare a conseguenze pesanti, non è sbagliata la critica o
l’osservazione che viene fatta, è sbagliato il modo, cioè l’azione di chi
attacca e la reazione di chi si sente attaccato. Spetta a me fare la mia parte,
cioè dimostrare che agendo in un determinato modo aggressivo non si ottiene la
reazione desiderata.
“Non
permettere che le persone ti spingano nella loro tempesta. Portale nella tua
pace.” Reagire è lasciarsi portare nella tempesta, agire è restare nella
propria pace e magari indicare la via per entrarvi anche agli altri.
Maria Rosa Brian
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