6/04/2015

Madre o accompagnatrice, ovvero la giusta distanza

Non mi sono mai considerata una madre chioccia, cioè troppo  apprensiva, o troppo ansiosa. Anzi, ho sempre pensato che amare  significa anche saper lasciare andare.
Forse però bisognerebbe sentire il parere dei diretti interessati, ovvero dei miei figli...
Dopo un primo sguardo meravigliato da parte loro per l'insolita domanda, ho avuto la conferma che effettivamente non sono una madre  soffocante… almeno su qualcosa siamo d’accordo!
Mi chiedo ora: qual è la differenza tra l'essere madre e l'essere accompagnatrice?
Se Dio ci è padre e madre significa che in sé ha entrambe le caratteristiche di genere che distinguono l'essere genitore: ovvero l'accoglienza, la disponibilità, la protezione, che distinguono la madre, e la direzione, l'autorevolezza, la fermezza, tipiche del padre. Accompagnare significa avere entrambe queste caratteristiche, dosate all'occorrenza; a dire quando usare l'una o l'altra sarà il tuo sentire e il Suo Spirito.
La differenza, a questo punto, tra l'essere madre o accompagnatrice non è differenza data da un “sentire materno”, ma da un “essere chioccia".
Essere madre e non chioccia significa lasciare libero il figlio, o chi accompagni, di fare le sue scelte: se vuole sbattere il naso a tutti costi è libero di farlo; gli servirà, forse, più che avere chi lo ferma in tempo anche contro il suo volere. Essere madre e non chioccia significa indirizzare senza forzare: significa aprire strade senza ficcarci dentro le persone; significa non anticipare i bisogni risolvendo i problemi, ma essere disponibile ad affrontare insieme i problemi e le difficoltà. Essere madre e accompagnatrice significa accettare anche le conseguenza di lasciare libero l’altro, cioè di non essere immune dal dolore che ti coglie quando ti accorgi che il figlio sbaglia. È doloroso quando ti rendi conto che non sta agendo per il suo vero bene e capisci che non lo puoi fermare perché  non vuol essere fermato o che non lo puoi consigliare perché non sente ragioni.
Difficile dosare severità e dolcezza, vicinanza e giusta distanza. Come distinguere il giusto consiglio dall’invadenza? O la giusta premura dell’eccessivo coinvolgimento? Come capire quando “forzare” e quando lasciar perdere?
Attenzione: il rischio, sia con i figli che con chi accompagni, è di voler rispondere non a un bisogno dell’altro, ma a una tua paura: di abbandono? Di essere bravo e capace? Di essere il salvatore del mondo? Ma la via che Gesù ci addita porta all'amore e non al successo; a dare, non a soddisfare i propri bisogni.
Le persone vanno accompagnate, non tirate a tutti i costi. Soprattutto deve esserci un desiderio da parte dell’altro, anche un piccolo germoglio, ma deve esserci qualcosa. Sta all’accompagnatore o al genitore stuzzicare l’interesse, ma se non c’è nell’altro quel minimo di volontà di camminare è inutile; forse, semplicemente, non è il momento per quella persona, per quel figlio.
C'è una giusta distanza che permette di stare vicino senza soffocare, che permette di affiancare senza tenere sempre per mano: è lo stile di Gesù. Guardiamo a Lui, al suo modo di accompagnare. Vediamo nel brano dei due discepoli di Emmaus la pedagogia di Gesù (Lc 24,13-35).
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro”. Gesù affianca i due discepoli sulla strada verso Emmaus e cammina assieme a loro. Percorre la stessa strada, gli stessi passi, la stessa polvere a sporcare i piedi, la stessa afa, la stessa fatica. Gesù si fa raccontare, li lascia spiegare («Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?») e solo dopo racconta e spiega (E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui). Gesù non li precede, sia nelle riflessioni che fisicamente, ma li affianca. Non anticipa i loro bisogni, ma li lascia emergere. Non dà  subito risposte, ma lascia affiorare domande. Non consola immediatamente, ma lascia sfogare. Alla fine  non chiede di restare, ma accenna ad andare oltre e si ferma solo perché invitato (Egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto»). Solo se accolto e chiamato entra “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
La giusta distanza nell'accompagnamento possiamo riassumerla in un'immagine. È una scena ben nota a tutti. È quella di una madre/padre che, lasciate le mani del suo bambino, lo incita a muovere i primi prassi, pronto a sorreggerlo appena lo vede barcollare. Non gli tiene la mano, ma è veloce ad afferrargliela appena lo vede in difficoltà.
Non è questa anche l'immagine di Dio con i suoi figli? Per un istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore.. (Is 54,7)
Alla fine se hai agito con amore, se vuoi il bene di quella persona e hai fatto ciò che in quel momento per te era possibile fare, non cadere in inutili pensieri tormentosi. Ricordati: non puoi tendere la mano a chi non vuole afferrarla. E, soprattutto, tieni presente che... Dio esiste, ma non sei tu!


                                                                                               Maria Rosa Brian

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