7/08/2015

Il vero senso dell’obbedienza

Giorni fa, leggendo l’autobiografia di Paisij Velickowskij (il fondatore dello “Starcestvo”, ossia di una rinnovata modalità di accompagnamento spirituale nella Russia alla fine del XVIII° secolo, nonché redattore della “Filocalia”), mi colpiva come stava parlando dell’obbedienza nella vita del monaco.
Nella nostra epoca, se c’è una virtù che suona particolarmente antipatica è proprio questa: la sentiamo assurda rinuncia al diritto di pensare con la nostra testa, di seguire i desideri e le intuizioni del nostro cuore. Questo perché consideriamo il nostro itinerario spirituale qualcosa che possiamo gestire autonomamente.
Nella visione di Paisij è invece chiaro che l’unico riferimento è Cristo, e tutti siamo alla ricerca di una sempre più stretta comunione con Lui, per vivere nella Vita che Lui ci ha aperto come prospettiva di pienezza.
Se questo è l’obiettivo, tutto il resto - compresa l’obbedienza! – è dunque una strategia, è via al suo raggiungimento. Chi chiede di essere aiutato a raggiungerlo, non conoscendone la via, si dichiara disponibile a seguire le indicazioni di chi ha già percorso con frutto un tratto di strada in quella direzione. Obbedienza non è dunque accettare un’imposizione, ma liberamente scegliere di percorrere strade diverse da quelle già note, per raggiungere risultati diversi da quelli già ottenuti; perché… se vuoi ottenere qualcosa di diverso, devi fare qualcosa di diverso!
Di questa ricerca l’accompagnatore si mette a servizio con la propria esperienza, senza però ritenerla esaustiva, normativa per ogni altra, ma ispirativa; apertura di prospettive, non delimitazione autoritaria. E ciò richiamandosi egli stesso alle fonti ispiratrici comuni: le Scritture e i testi dei Padri. Non impone, pertanto, la propria visione della spiritualità, ma insegna il gusto del mistero, ossia del costruire il proprio itinerario prendendo il meglio che lo Spirito evidenzia nell’esperienza di chi, più avanzato di noi nella fede, ci ha preceduto o ci vive accanto.
Obbedire diventa allora un posare il proprio piede su un gradino che ci viene offerto per salire, non sopportare il peso di un piede poggiato sul collo per impedirci di muoverci.
Certo, ci sono l’iniziale contrarietà e fatica insite nel cambiamento, ma se queste diventano una costante e non si trasformano nella gioia che segue al maturare di frutti buoni, c’è da chiedersi se non siamo vittime di una manipolazione, se l’obbedienza non sia strumento al raggiungimento di fini che non sono il nostro o il comune bene, ma esclusivamente l’interesse di chi ce la impone. Ad evitare questa deriva, la Regola che Paisij ha scritto per la conduzione dei monasteri da lui fondati impegna il superiore a studiare la Scrittura e i Padri e a non osare trasmettere ai fratelli insegnamenti propri, tenendo presente che maestra e guida per la salvezza è la Parola di Dio. Una Parola che l’accompagnamento spirituale dona come spunto per aprire la situazione che la persona sta vivendo a una prospettiva di Vita in cui è lei, però, a dover creare l’itinerario.
Per questo l’accompagnatore, ben conscio di possedere solo uno dei possibili punti di vista, apre sempre a tutti i possibili apporti, fiducioso che la persona, in ascolto dello Spirito, vi si saprà orientare, per poi fare la sintesi più opportuna: “E non dire che è sufficiente leggere uno o due libri per la propria guida spirituale. L’ape non raccoglie il miele da uno o due fiori, ma da molti. Allo stesso modo chi legge i libri dei santi Padri: da uno è guidato sulla fede e sulla sana pazienza, da un altro sul silenzio e sulla preghiera, da un altro sul biasimo di sé e sull’amore a Dio e al prossimo. Per dirla in breve, leggendo molti Padri uno impara come vivere la vita evangelica”.
Per questo, ad esempio, nella Filocalia Paisij ha offerto gli insegnamenti dei Padri più sperimentati nella preghiera e nella lotta spirituale.
Da parte sua, il discepolo è invitato a non opporre resistenza agli insegnamenti e alle raccomandazioni del suo accompagnatore nella misura in cui queste sono conformi ai comandamenti di Dio e alla dottrina dei Padri. Il suo non è, dunque, un ruolo passivo, di abbandono acritico, ma di fiducia inquadrata in un continuo discernimento: un orecchio rivolto alla parola dell’accompagnatore e uno rivolto allo Spirito, che ricorda tutto ciò che Gesù ha detto. Solo se entrambe queste parole coincidono si sentirà impegnato a seguire ciò che gli viene detto; perché non è possibile che lo Spirito si contraddica.
Soltanto allora potrà vivere quell’obbedienza che Paisij definisce “non agire più secondo le proprie scelte o comportarsi secondo le proprie opinioni personali”, perché sente, come continua a dire Paisij, che chi lo accompagna gli è padre nello Spirito, ossia lo istruisce non da se stesso, ma a partire dalla Sacra Scrittura e dalla medesima dottrina dei santi Padri. Ma, soprattutto, è credibile e attraente perché la Parola che gli annuncia è lui stesso per primo a viverla: “Istruisci le persone che accompagni nella via della salvezza presentandoti a loro, sostenuta dall’aiuto di Dio, come esempio di ogni virtù nella fedele osservanza dei comandamenti evangelici, nell’amore per Dio e per il prossimo, nella mansuetudine e nell’umiltà, nel custodire costantemente la più profonda pace di Cristo verso tutte”.
Se l’obbedienza è vissuta in questo Spirito, c’è un clima di grande libertà reciproca tra accompagnatore e accompagnato. L’essere entrambi rivolti a Dio fa venir meno le reciproche aspettative, soprattutto quel paternalismo che conduce a una “dittatura del bene”. Paisij arriva a dire: “Se tuo figlio ti avesse abbandonato anche per dedicarsi al brigantaggio o per qualche altro genere di vita peccaminoso, anche in questo caso non avresti dovuto amareggiarti oltre misura: ciascuno, infatti, renderà personalmente conto a Dio del suo agire nel giorno del giudizio”.
Possiamo dunque concludere con quanto Paisij racconta essersi sentito dire, agli inizi della sua vocazione, da un anziano monaco: “L’inizio, la radice e il fondamento della vera vita monastica consiste in una vera obbedienza e in un perfetto abbandono e rinuncia alla propria volontà e giudizio, conformemente al volere di Dio, all’intelligenza delle Sacre Scritture e all’insegnamento dei Padri”.
Non è, questo, il programma di chiunque voglia dedicarsi pienamente a raggiungere qualcosa che non possiede ma da cui si sente fortemente attirato?

                                                                                          Michele Bortignon

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