La domanda mi si è posta con evidenza in relazione al
“Giubileo della misericordia” indetto da Papa Francesco. Non nascondo un certo
disagio nell’averlo sentito associare all’ottenimento dell’indulgenza. Ricordiamo
la teoria: la confessione rimette la colpa ma non cancella la pena, che dovrà
comunque essere scontata nel purgatorio, a meno di un’indulgenza concessa dalla
Chiesa, che compensa le colpe dei peccatori con i meriti dei santi. A parte il
legalismo della questione, difficile da giustificare a livello umano, quel che
non quadra è la considerazione del Purgatorio come esperienza da sfuggire, e…
da sfuggire per grazia.
Se il purgatorio è una punizione, come si concilia con la
bontà di Dio? Se viene da un Dio buono, il purgatorio dev’essere un luogo di
grazia, non di punizione. Voglio allora pensarlo come un’esperienza di crescita
in una sofferenza avvolta dalla tenerezza di Dio: mi sarà dato di rivivere ogni
stupidaggine che ho fatto sentendomi sprofondare dalla vergogna e attanagliare
dal dolore che nascono dal sentirmele spiegate dall’Amore stesso, che da esse
ho allontanato; ma, nel farlo, Lui mi terrà la mano e mi guarderà negli occhi,
a dirmi che comunque mi ha sempre voluto bene e ha sempre avuto fiducia in me.
Perché dovrei allora privarmi di questa esperienza di
Verità, che è chiarezza nella tenerezza e nel perdono? La mia fetta di
purgatorio la voglio, l’aspetto e la desidero. E, al termine di questo
incontro, sarò con Lui, con il mio corpo spirituale segnato da ferite e
brutture trasfigurate in luce, come da solo mai avrei saputo fare; ora davvero
rivestito della misericordia di Dio. Non è stato così anche di Cristo nelle
apparizioni dopo la risurrezione? Le ferite che il male gli aveva inferto erano
ben visibili; nel suo caso luminose per un amore offerto; nel nostro, lo
saranno per la misericordia ricevuta.
Ma c’è un modo in cui credo si possa vivere questo
purgatorio fin d’ora: facendosi aiutare a vedere la propria vita da un altro
punto di vista, con gli occhi e il cuore di Dio. E non è questo il compito
dell’accompagnamento spirituale? Abbiamo, infatti, bisogno di provare a noi
stessi che non siamo la stupidaggine che abbiamo fatto, ma la nostra vita è
orientata in altra direzione: è ciò che l’accompagnatore ci aiuta a fare. Non
solo. La Chiesa aiuta questa nostra “cristificazione” anche mettendo a
disposizione l’esperienza che di Dio hanno accumulato i santi. Santo non è chi
non ha peccato mai, ma chi ha avuto la forza ogni volta che è caduto di
rialzarsi. È da questa loro forza e certezza di trovare il perdono
incondizionato di Dio che possiamo attingere. La loro storia funge da
ispirazione per un cammino diverso rispetto a quello che ci ha portato a
peccare. Entra così in gioco la “comunione dei santi”, per cui chi è più vicino
a Dio aiuta il procedere di chi vuole camminargli accanto.
Reinterpretata in questo modo, possiamo riaccogliere nel
nostro pensiero e nella nostra sensibilità la teologia sull’indulgenza.
Ma vediamo ora di enucleare dal Vangelo, nostro punto di
riferimento più delle filosofie degli uomini, qual è la potenza trasformante
della misericordia di Dio.
E qui cedo la penna a MariaRosa.
Non so che cosa sarà di me dopo la morte, dove sarò, come
sarò: so che il mio corpo fisico, almeno per ora, non mi seguirà. E non so
quale volto di Dio incontrerò; mi è stato mostrato in molti modi: giudice,
misericordioso, padre, padrone…
Ma che cosa so veramente di Dio? Di Dio conosco ciò che di
Lui ci ha rivelato Gesù: “Chi ha visto me
ha visto il Padre” (Gv 14,9), e ancora: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me” (Gv 14,6).
Dio, fatto uomo in Gesù di Nazareth, parla le parole
comprensibili all’uomo e si lascia spiegare da immagini quotidiane e familiari
all’uomo. E allora com’è il Dio rivelato da Gesù? È come un padre, e che padre!
Dio è, anche e non solo, il padre misericordioso della parabola di Luca (Lc
15,11-32). Dio è sempre quel padre che scruta e aspetta il mio ritorno. Dio mi
corre incontro quando da lontano mi vede tornare e non mi lascia neanche il
tempo di manifestare il mio pentimento. Dio mi ama così come sono: è dal suo
amore incondizionato che sboccia il mio; e il suo perdono smuove quel sano
senso di dispiacere per non aver colto prima il suo amore o per non averlo
scelto prima.
Già qui in questa vita posso vivere il mio inferno,
purgatorio e paradiso. Quando non amo, semplicemente scelgo l’inferno nel mio
cuore; quando scelgo di amare, sono catapultata nel paradiso e il purgatorio è
quel senso di disagio e dispiacere che provo nell’aver tradito l’Amore. La
scelta dove sostare è mia; semplicemente quello che ho chiamato purgatorio
serve a darmi un’idea delle dimensioni del perdono.
Che misure ha la misericordia? Quale altezza, quale profondità?
Se Dio è Amore, come dice Giovanni -“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”(1Gv 4,8)-,
non può che amare e l’amore è misericordia infinita. Qualcuno ha detto che la
misura dell’amore è amare senza misura. Questo “senza misura” si chiama
Misericordia.
Mi piace l'immagine di un Dio Padre che mi aspetta ogni
volta che cambio strada. Amo questa Misericordia di Dio che non ha fretta, che
è paziente, che mi lascia il tempo che mi serve, aspettando da lontano il mio
ritorno pronta a far festa: “Prendete il
vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio
figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E
cominciarono a far festa” (Lc 15,23-24). E ancora: “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si
converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di
conversione” (Lc 15,7).
Questa Misericordia non è "tontaggine” di Dio, nel
senso che tanto Dio perdona tutto, no: la Misericordia sa cogliere il momento
opportuno, il tempo propizio che lei sa. Penso che ognuno di noi ha un momento
suo personale per gustare il perdono di Dio: Lui mi perdona sempre, ma non
sempre io sono pronta a capirne e assaporarne la portata. La conversione è
proprio questo: capire interiormente il perdono, gustare nel profondo del cuore
la Misericordia, assaporarla, piangere dalla gioia e dallo stupore per tanta
grazia.
Non è questo dolore per non riuscire a contenere così
tanto amore a farmene comprendere la misura? È come quando troppa luce
improvvisa fa male agli occhi e quel male mi fa capire che è tanta; o come
quando troppa aria rarefatta mi fa mancare il fiato e quella mancanza di fiato
mi fa capire che è buona. Ecco: il purgatorio è questo dolore che mi fa capire
il troppo perdono.
Non so cosa sarà di me dopo la mia morte, ma so cosa
vorrei fosse della mia vita qui e ora, in questo prezioso e bellissimo tempo
che mi resta da vivere: riuscire a cogliere angoli di paradiso aprendo porte di
purgatorio che mi fanno uscire da stanze buie di inferno.
Michele
Bortignon e Maria Rosa Brian
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