1/11/2016

Che cos’è e come vivere la misericordia di Dio?

La domanda mi si è posta con evidenza in relazione al “Giubileo della misericordia” indetto da Papa Francesco. Non nascondo un certo disagio nell’averlo sentito associare all’ottenimento dell’indulgenza. Ricordiamo la teoria: la confessione rimette la colpa ma non cancella la pena, che dovrà comunque essere scontata nel purgatorio, a meno di un’indulgenza concessa dalla Chiesa, che compensa le colpe dei peccatori con i meriti dei santi. A parte il legalismo della questione, difficile da giustificare a livello umano, quel che non quadra è la considerazione del Purgatorio come esperienza da sfuggire, e… da sfuggire per grazia.
Se il purgatorio è una punizione, come si concilia con la bontà di Dio? Se viene da un Dio buono, il purgatorio dev’essere un luogo di grazia, non di punizione. Voglio allora pensarlo come un’esperienza di crescita in una sofferenza avvolta dalla tenerezza di Dio: mi sarà dato di rivivere ogni stupidaggine che ho fatto sentendomi sprofondare dalla vergogna e attanagliare dal dolore che nascono dal sentirmele spiegate dall’Amore stesso, che da esse ho allontanato; ma, nel farlo, Lui mi terrà la mano e mi guarderà negli occhi, a dirmi che comunque mi ha sempre voluto bene e ha sempre avuto fiducia in me.
Perché dovrei allora privarmi di questa esperienza di Verità, che è chiarezza nella tenerezza e nel perdono? La mia fetta di purgatorio la voglio, l’aspetto e la desidero. E, al termine di questo incontro, sarò con Lui, con il mio corpo spirituale segnato da ferite e brutture trasfigurate in luce, come da solo mai avrei saputo fare; ora davvero rivestito della misericordia di Dio. Non è stato così anche di Cristo nelle apparizioni dopo la risurrezione? Le ferite che il male gli aveva inferto erano ben visibili; nel suo caso luminose per un amore offerto; nel nostro, lo saranno per la misericordia ricevuta.
Ma c’è un modo in cui credo si possa vivere questo purgatorio fin d’ora: facendosi aiutare a vedere la propria vita da un altro punto di vista, con gli occhi e il cuore di Dio. E non è questo il compito dell’accompagnamento spirituale? Abbiamo, infatti, bisogno di provare a noi stessi che non siamo la stupidaggine che abbiamo fatto, ma la nostra vita è orientata in altra direzione: è ciò che l’accompagnatore ci aiuta a fare. Non solo. La Chiesa aiuta questa nostra “cristificazione” anche mettendo a disposizione l’esperienza che di Dio hanno accumulato i santi. Santo non è chi non ha peccato mai, ma chi ha avuto la forza ogni volta che è caduto di rialzarsi. È da questa loro forza e certezza di trovare il perdono incondizionato di Dio che possiamo attingere. La loro storia funge da ispirazione per un cammino diverso rispetto a quello che ci ha portato a peccare. Entra così in gioco la “comunione dei santi”, per cui chi è più vicino a Dio aiuta il procedere di chi vuole camminargli accanto.
Reinterpretata in questo modo, possiamo riaccogliere nel nostro pensiero e nella nostra sensibilità la teologia sull’indulgenza.
Ma vediamo ora di enucleare dal Vangelo, nostro punto di riferimento più delle filosofie degli uomini, qual è la potenza trasformante della misericordia di Dio.
E qui cedo la penna a MariaRosa.

Non so che cosa sarà di me dopo la morte, dove sarò, come sarò: so che il mio corpo fisico, almeno per ora, non mi seguirà. E non so quale volto di Dio incontrerò; mi è stato mostrato in molti modi: giudice, misericordioso, padre, padrone…
Ma che cosa so veramente di Dio? Di Dio conosco ciò che di Lui ci ha rivelato Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9), e ancora: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).
Dio, fatto uomo in Gesù di Nazareth, parla le parole comprensibili all’uomo e si lascia spiegare da immagini quotidiane e familiari all’uomo. E allora com’è il Dio rivelato da Gesù? È come un padre, e che padre! Dio è, anche e non solo, il padre misericordioso della parabola di Luca (Lc 15,11-32). Dio è sempre quel padre che scruta e aspetta il mio ritorno. Dio mi corre incontro quando da lontano mi vede tornare e non mi lascia neanche il tempo di manifestare il mio pentimento. Dio mi ama così come sono: è dal suo amore incondizionato che sboccia il mio; e il suo perdono smuove quel sano senso di dispiacere per non aver colto prima il suo amore o per non averlo scelto prima.
Già qui in questa vita posso vivere il mio inferno, purgatorio e paradiso. Quando non amo, semplicemente scelgo l’inferno nel mio cuore; quando scelgo di amare, sono catapultata nel paradiso e il purgatorio è quel senso di disagio e dispiacere che provo nell’aver tradito l’Amore. La scelta dove sostare è mia; semplicemente quello che ho chiamato purgatorio serve a darmi un’idea delle dimensioni del perdono.
Che misure ha la misericordia? Quale altezza, quale profondità?
Se Dio è Amore, come dice Giovanni -“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”(1Gv 4,8)-, non può che amare e l’amore è misericordia infinita. Qualcuno ha detto che la misura dell’amore è amare senza misura. Questo “senza misura” si chiama Misericordia.
Mi piace l'immagine di un Dio Padre che mi aspetta ogni volta che cambio strada. Amo questa Misericordia di Dio che non ha fretta, che è paziente, che mi lascia il tempo che mi serve, aspettando da lontano il mio ritorno pronta a far festa: “Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa” (Lc 15,23-24). E ancora: “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7).
Questa Misericordia non è "tontaggine” di Dio, nel senso che tanto Dio perdona tutto, no: la Misericordia sa cogliere il momento opportuno, il tempo propizio che lei sa. Penso che ognuno di noi ha un momento suo personale per gustare il perdono di Dio: Lui mi perdona sempre, ma non sempre io sono pronta a capirne e assaporarne la portata. La conversione è proprio questo: capire interiormente il perdono, gustare nel profondo del cuore la Misericordia, assaporarla, piangere dalla gioia e dallo stupore per tanta grazia.
Non è questo dolore per non riuscire a contenere così tanto amore a farmene comprendere la misura? È come quando troppa luce improvvisa fa male agli occhi e quel male mi fa capire che è tanta; o come quando troppa aria rarefatta mi fa mancare il fiato e quella mancanza di fiato mi fa capire che è buona. Ecco: il purgatorio è questo dolore che mi fa capire il troppo perdono.
Non so cosa sarà di me dopo la mia morte, ma so cosa vorrei fosse della mia vita qui e ora, in questo prezioso e bellissimo tempo che mi resta da vivere: riuscire a cogliere angoli di paradiso aprendo porte di purgatorio che mi fanno uscire da stanze buie di inferno.


Michele Bortignon e Maria Rosa Brian

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