3/01/2017

Il dono della zizzania

Ti sei mai sentito dolorosamente spaccato a metà? Una parte di te è saldamente ancorata a Cristo, che è per te una vera ragione di vita, ma c’è un’altra parte di te che si lascia attirare dalle comodità, dal piacere, dalla tranquillità che vedi cercate da tanti nel mondo in cui vivi. 
Istinto e ragionevolezza, desiderio e ponderatezza, passione e dominio di te stesso si agitano nel tuo cuore in antitesi tra di loro.
Nei momenti di ripensamento sei profondamente amareggiato dall’andirivieni che ti vedi percorrere dall’una all’altra di queste due parti: né santo né grande peccatore, in una mediocrità che ti disgusta; ti proponi allora di sradicare decisamente il “male” che è in te, proponendoti una vita integerrima.

Nella parabola della zizzania (Mt 13, 24-30), Gesù sembra però d’altro avviso: raccomanda di non togliere la zizzania per non rischiare di sradicare anche il grano buono. Il pericolo è di perdere i chicchi di grano nel tentativo di togliere le sterili spighe della zizzania. Fuori metafora, il rischio è di trascurare il bene perché si impegnano tutte le proprie forze nel cercare di sradicare il male. E’ questo un importante punto di svolta nel cammino di una persona impegnata nel bene: il moralismo ingessa nella paura di agire, inaridisce l’amore per la Vita, che ci fa vibrare di sentimenti anche contrastanti e ci chiede di aprirci la nostra strada sperimentando, rischiando, cadendo, sbagliando, rialzandoci e riprovando. «Pensate a coltivare il grano e non occupatevi della zizzania», dice Gesù. Lasciatevi guidare dal buono che c’è nel vostro cuore senza spaventarvi del male: bene e male vi coabitano. Dio sa che nell’uomo coesistono entrambi e ama l’uomo così com’è, con le sue zone di luce e ombra. Lasciateli entrambi, grano e zizzania; a tempo debito si vedrà… chissà se, per allora, la zizzania non avrà dato anch’essa un frutto buono, facendoci fare esperienza di ciò che è inutile, sterile, dannoso, di ciò che fa male agli altri e a noi stessi. Noi non sopportiamo la prova del tempo, in cui il peccato stilla tutta la propria amarezza facendoci capire il suo imbroglio e il bene si fa strada silenziosamente accettando la fatica e le difficoltà. Abbiamo la mentalità dei servi: sono i servi, non il padrone, a voler togliere la zizzania. I servi non hanno fiducia nella  capacità della vita di insegnarci attraverso i nostri errori e vogliono “metterla a posto” secondo la loro visione. Quante volte anche noi preferiamo negare ciò che è accaduto o credere che non sia successo niente? Vorremmo chiudere con la pesantezza della natura umana e sentirci già in Dio. Ma non è, questo, proprio il contrario di ciò che Dio ha fatto? Cristo assume la pesantezza della natura umana; non la nega, ma la divinizza: la trasfigura e la fa risorgere. Ecco… come trasfigurare la zizzania? Non toglierla…, e nemmeno travestirla da grano con le nostre autogiustificazioni… Che cosa allora? Ma questa è una domanda ancora una volta da servi, che vogliono sapere cosa fare anziché star seduti ai piedi del loro Signore lasciandosi ispirare da Lui, imparando da Lui giorno per giorno, mettendo insieme, nel discernimento, quei due grandi maestri che sono vita e Parola, così da individuare il passo successivo e solo quello.
Non sarà un progetto di santità ben costruito a cambiarci la vita, ma il guardare Gesù, e il sentirci guardati da Lui, con simpatia e con fiducia. Forse comincerà allora a germogliare in noi la spontaneità di vivere con gli altri quel che abbiamo vissuto con Lui: il rispetto, la valorizzazione, la misericordia, la bontà, che prenderanno di volta in volta forme diverse nella situazione che stiamo vivendo.
Spariranno le nostre tentazioni? Riusciremo a vincere il male che è in noi? Nella parabola, non è, questo, un compito dei servi, ma dei mietitori: situazioni –probabilmente difficoltà, problemi, sofferenze…- che fanno emergere ciò che in noi è fecondo di buoni frutti e ciò che invece è sterile, inutile, dannoso, …da bruciare.
Fino a quel momento, il tempo della tentazione e del peccato ci è dato allora come luogo in cui conoscere noi stessi in verità, in cui sperimentare la misericordia di Dio, in cui vivere con gli altri, altrettanto peccatori di noi, la misericordia gratuitamente ricevuta da Dio.

                                                                                                      Maria Rosa Brian
                                                                                                      Michele Bortignon





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