La Pasqua imminente, celebrando
la Risurrezione, mi porta a chiedermi: che cos'è la mia risurrezione? C’è una
vita oltre quella che conosco? E poi… cosa significa quella “risurrezione
della carne” proclamata nel credo apostolico?
Se lascio perdere le speculazioni
teologiche e mi attengo al Vangelo, trovo un’importante indicazione in Mc 16,
6-7: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è
qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e
a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”: il
risorto non è andato in un’altra vita, ma è tornato “in Galilea”, nella vita
quotidiana di chi vuol incontrarlo. E questo incontro lo troviamo anche
descritto nei racconti delle apparizioni post-pasquali: la Maddalena, i
discepoli di Emmaus, gli apostoli tornati a pescare lo riconoscono non dalle
sue fattezze umane, ma da ciò che dice, da come lo dice, da ciò che fa. Cosa
significa? Che Cristo continuiamo ad incontrarlo in persone che vivono nel suo
Spirito perché il suo Spirito è presente in loro.
Questo allora cosa dice a me per
la mia risurrezione, ossia per il mio desiderio di continuare ad esserci e ad
“essere con”? Come mi aiuta per ritrovare un contatto con i miei morti, per
continuare a sentirli vivi?
Proviamo a pensare… Quando chi
amiamo non ci è accanto, com’è che ce lo sentiamo vicino? Nel ricordo
affettuoso. Il ricordo ce lo rende presente in “icone”: rappresentazioni
mentali di gesti, di modi di essere, di parole che ci hanno toccati al profondo,
ci hanno emozionato, sono stati significativi per noi, in primis tutto ciò che
ci ha fatto sentire amati. Cade invece nell’oblio tutto il banale e nascosti
sotto un velo di misericordia i frutti di tante debolezze e fragilità. Quando
una persona muore, questi ricordi si fissano nella memoria, prendono forma in
un’immagine che ora non è più “carnale”, ma “spirituale”; da ciò che è stata ed
è stato importante per noi, essa ci parla, e la sua fisionomia, ora formata da
tratti esclusivamente belli, influenza la nostra, portandoci un po’ a
rassomigliarle. Ciò che di lei è stato bello, vero, buono si incarna in noi
quando sentiamo importante viverlo anche noi: è questa la risurrezione della
carne…? E, diventato bello, vero, buono in noi, continua a suscitare in altri
il desiderio di viverlo a loro volta: è questa la vita eterna…?
Ecco allora che c’è una via alla
risurrezione: tutto ciò che di bello, di vero, di buono diciamo e facciamo è
ciò che di noi vive in eterno; meglio, siamo noi che in esso continuiamo a vivere,
fortunatamente depurati da tutto il banale e il cattivo che siamo stati.
Mozart è vivo e mi rende vivo
nella bellezza della sua musica. E’ in essa che lui c’è e solo questo ora c’è
di lui.
Di noi resta tutto ciò che è
fatto e vissuto con amore, perché l’amore realizzato è bellezza, e la bellezza,
in quanto fonte di Vita, non muore, ma dura in eterno.
“L’unica vera ricchezza
dell’uomo è solo ciò che ha donato, perché ciò che ha donato è già nell'eternità” (San Giovanni Crisostomo)
Michele Bortignon
Michele Bortignon
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