4/01/2017

Una via verso la risurrezione

La Pasqua imminente, celebrando la Risurrezione, mi porta a chiedermi: che cos'è la mia risurrezione? C’è una vita oltre quella che conosco? E poi… cosa significa quella “risurrezione della carne” proclamata nel credo apostolico?
Se lascio perdere le speculazioni teologiche e mi attengo al Vangelo, trovo un’importante indicazione in Mc 16, 6-7: Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”: il risorto non è andato in un’altra vita, ma è tornato “in Galilea”, nella vita quotidiana di chi vuol incontrarlo. E questo incontro lo troviamo anche descritto nei racconti delle apparizioni post-pasquali: la Maddalena, i discepoli di Emmaus, gli apostoli tornati a pescare lo riconoscono non dalle sue fattezze umane, ma da ciò che dice, da come lo dice, da ciò che fa. Cosa significa? Che Cristo continuiamo ad incontrarlo in persone che vivono nel suo Spirito perché il suo Spirito è presente in loro.
Questo allora cosa dice a me per la mia risurrezione, ossia per il mio desiderio di continuare ad esserci e ad “essere con”? Come mi aiuta per ritrovare un contatto con i miei morti, per continuare a sentirli vivi?
Proviamo a pensare… Quando chi amiamo non ci è accanto, com’è che ce lo sentiamo vicino? Nel ricordo affettuoso. Il ricordo ce lo rende presente in “icone”: rappresentazioni mentali di gesti, di modi di essere, di parole che ci hanno toccati al profondo, ci hanno emozionato, sono stati significativi per noi, in primis tutto ciò che ci ha fatto sentire amati. Cade invece nell’oblio tutto il banale e nascosti sotto un velo di misericordia i frutti di tante debolezze e fragilità. Quando una persona muore, questi ricordi si fissano nella memoria, prendono forma in un’immagine che ora non è più “carnale”, ma “spirituale”; da ciò che è stata ed è stato importante per noi, essa ci parla, e la sua fisionomia, ora formata da tratti esclusivamente belli, influenza la nostra, portandoci un po’ a rassomigliarle. Ciò che di lei è stato bello, vero, buono si incarna in noi quando sentiamo importante viverlo anche noi: è questa la risurrezione della carne…? E, diventato bello, vero, buono in noi, continua a suscitare in altri il desiderio di viverlo a loro volta: è questa la vita eterna…?
Ecco allora che c’è una via alla risurrezione: tutto ciò che di bello, di vero, di buono diciamo e facciamo è ciò che di noi vive in eterno; meglio, siamo noi che in esso continuiamo a vivere, fortunatamente depurati da tutto il banale e il cattivo che siamo stati.
Mozart è vivo e mi rende vivo nella bellezza della sua musica. E’ in essa che lui c’è e solo questo ora c’è di lui.
Di noi resta tutto ciò che è fatto e vissuto con amore, perché l’amore realizzato è bellezza, e la bellezza, in quanto fonte di Vita, non muore, ma dura in eterno.

“L’unica vera ricchezza dell’uomo è solo ciò che ha donato, perché ciò che ha donato è già nell'eternità” (San Giovanni Crisostomo)  
                                                                                    Michele Bortignon

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