Nel rapporto di coppia, pur parlando
la stessa lingua, a volte, capiamo “pan per polenta” e il buffo -o il tragico-
della situazione è che, per quanto uno tenti in tutti i modi di spiegarsi, non
riesce a intaccare la visione dell’altro. È come se ragionassimo per schemi
mentali e non riuscissimo a uscire da quello schema. Forse perché il nostro
vissuto (il bagaglio della nostra infanzia creato da quei genitori, da
quell’ambiente e da quelle esperienze) ci tiene prigionieri e rende il nostro
sguardo miope. In tutto ciò non ci sono capri espiatori ai quali addossare la
colpa, no: è così perché tutti noi siamo figli del nostro tempo e della nostra
storia.
Penso sarà capitato anche a voi. Certi
atteggiamenti del vostro coniuge vi fanno arrabbiare e, se riuscite a evitare
di “sbottare” e cercate di spiegare all’altro in modo educato e civile perché
il suo atteggiamento vi abbia fatto irritare, otterrete proprio ciò che
volevate evitare: l’incomprensione e la lite. È come cercare di dipanare una
matassa: più cerchi di sgrovigliare il filo e più lo aggrovigli in modo
irrecuperabile. Che fare? Lasciar perdere e buttare tutto? Tagliare il filo e
fare dei nodi?
E in un rapporto, che non è una
matassa, come procedere? Mollare tutto e andare via? Litigare fino allo
sfinimento per imporre all’altro la nostra verità? Quando non ci si capisce in
famiglia che si fa? Si scappa? Ci si chiude tenendo il muso e ingigantendo
l’incomprensione? Ci si scanna inutilmente a vicenda? Diciamo che trattandosi
di una relazione il filo del rapporto va recuperato evitando strappi e nodi.
Partiamo dal presupposto che non siamo tutti uguali; già nella Bibbia,
all’origine della creazione, troviamo un perché delle differenze fra maschio e
femmina.
Ricordo un’interessante esegesi del
brano di Genesi sulla creazione della donna che può esserci utile: «Non è bene
che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18),
normalmente il testo è tradotto con “un aiuto che gli sia simile”, ma il testo
ebraico dice una cosa diversa: “come qualcuno che gli sia come un suo di
fronte”. La donna è posta di fronte/contro l’uomo: i due, cioè, stanno uno di
fronte all’altro; non guardano nella stessa direzione, ma ognuno, stando di
fronte all’altro, oltre a guardarlo in faccia, può guardare alle sue spalle e
vedere ciò che l’altro non vede. È come se la visione di uno compensasse la
visione dell’altro non senza creare problemi e divergenze; ma, se ci pensiamo
bene, non è proprio chi ti dà contro che ti fa crescere? A volte, però, quando
non c’è verso di far comprendere il nostro punto di vista è bene spostarsi e
mettersi di fianco e guardare con i suoi occhi, dal suo punto di vista. Poiché
del mio coniuge conosco la storia e la sua infanzia, posso capire e cercare di
entrare nel suo campo visivo che non è il mio. Se per un momento mi metto al
posto dell’altro, ho la sua stessa visione delle cose e posso capire come lui
vede, come lui ascolta, come lui sente, con quale visione e conoscenza della
realtà. Proviamo a spostarci e a guardare con gli occhi del nostro
interlocutore: ecco che il suo non capire diventa meno fastidioso e più
comprensibile.
La situazione non si risolve, nessuno
ha la visione corretta delle cose, ma si può andare avanti lo stesso, a volte
standoci di fianco, a volte uno di fronte/contro all’altro, mai di spalle.
MariaRosa Brian
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