1/01/2021

Allora non c'è futuro? Che cosa fa proseguire assieme anche quando non si trova un accordo.

 

Io sono responsabile di ciò che dico o di ciò che tu capisci? Il problema è mio che non mi so spiegare o tuo che afferri quello che vuoi? Parliamo la stessa lingua, ma a renderti incomprensibili le parole che ti dico è il tuo vissuto diverso dal mio.

Nel rapporto di coppia, pur parlando la stessa lingua, a volte, capiamo “pan per polenta” e il buffo -o il tragico- della situazione è che, per quanto uno tenti in tutti i modi di spiegarsi, non riesce a intaccare la visione dell’altro. È come se ragionassimo per schemi mentali e non riuscissimo a uscire da quello schema. Forse perché il nostro vissuto (il bagaglio della nostra infanzia creato da quei genitori, da quell’ambiente e da quelle esperienze) ci tiene prigionieri e rende il nostro sguardo miope. In tutto ciò non ci sono capri espiatori ai quali addossare la colpa, no: è così perché tutti noi siamo figli del nostro tempo e della nostra storia.

Penso sarà capitato anche a voi. Certi atteggiamenti del vostro coniuge vi fanno arrabbiare e, se riuscite a evitare di “sbottare” e cercate di spiegare all’altro in modo educato e civile perché il suo atteggiamento vi abbia fatto irritare, otterrete proprio ciò che volevate evitare: l’incomprensione e la lite. È come cercare di dipanare una matassa: più cerchi di sgrovigliare il filo e più lo aggrovigli in modo irrecuperabile. Che fare? Lasciar perdere e buttare tutto? Tagliare il filo e fare dei nodi?

E in un rapporto, che non è una matassa, come procedere? Mollare tutto e andare via? Litigare fino allo sfinimento per imporre all’altro la nostra verità? Quando non ci si capisce in famiglia che si fa? Si scappa? Ci si chiude tenendo il muso e ingigantendo l’incomprensione? Ci si scanna inutilmente a vicenda? Diciamo che trattandosi di una relazione il filo del rapporto va recuperato evitando strappi e nodi. Partiamo dal presupposto che non siamo tutti uguali; già nella Bibbia, all’origine della creazione, troviamo un perché delle differenze fra maschio e femmina.

Ricordo un’interessante esegesi del brano di Genesi sulla creazione della donna che può esserci utile: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18), normalmente il testo è tradotto con “un aiuto che gli sia simile”, ma il testo ebraico dice una cosa diversa: “come qualcuno che gli sia come un suo di fronte”. La donna è posta di fronte/contro l’uomo: i due, cioè, stanno uno di fronte all’altro; non guardano nella stessa direzione, ma ognuno, stando di fronte all’altro, oltre a guardarlo in faccia, può guardare alle sue spalle e vedere ciò che l’altro non vede. È come se la visione di uno compensasse la visione dell’altro non senza creare problemi e divergenze; ma, se ci pensiamo bene, non è proprio chi ti dà contro che ti fa crescere? A volte, però, quando non c’è verso di far comprendere il nostro punto di vista è bene spostarsi e mettersi di fianco e guardare con i suoi occhi, dal suo punto di vista. Poiché del mio coniuge conosco la storia e la sua infanzia, posso capire e cercare di entrare nel suo campo visivo che non è il mio. Se per un momento mi metto al posto dell’altro, ho la sua stessa visione delle cose e posso capire come lui vede, come lui ascolta, come lui sente, con quale visione e conoscenza della realtà. Proviamo a spostarci e a guardare con gli occhi del nostro interlocutore: ecco che il suo non capire diventa meno fastidioso e più comprensibile.

La situazione non si risolve, nessuno ha la visione corretta delle cose, ma si può andare avanti lo stesso, a volte standoci di fianco, a volte uno di fronte/contro all’altro, mai di spalle.

MariaRosa Brian

 

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