Normalmente, quando, alla fine di un colloquio, mi sento in pace e contento, è segno che anche la persona che accompagno sta provando gli stessi sentimenti. Senza esserne cosciente, percepisco il suo stato d’animo, lo sento risposta alla prospettiva di Vita che assieme abbiamo intravisto e mi rallegro che questo le stia dando sollievo. Ho svolto correttamente il mio compito, che è quello di accompagnare la persona a dare la mano a Gesù per continuare con Lui la propria strada.
A volte, invece, già durante il colloquio sento che qualcosa non va, qualcosa non gira per il verso giusto. Mi sono accorto che questo succede quando l’altro non mi sta chiedendo di aiutarlo a sintonizzarsi con Dio nel vivere la situazione che gli crea problema (è questo il compito dell’accompagnatore spirituale!), ma si aspetta che gli faccia da genitore/guida chiedendomi di dargli io una soluzione (cosa devo fare?) oppure, dopo avermi esposto il suo punto di vista, mi chiede di far da giudice (chi ha ragione?). Entrambe sono richieste non spirituali: Dio mai ti solleverebbe dall’essere protagonista della tua vita e mai si chiuderebbe in un giudizio, il cui effetto sarebbe soltanto creare divisione.
Occorre dunque riportare il
colloquio sullo spirituale. In che modo?
Innanzitutto ricorda dove Dio
vuol portare la persona: a una vita libera, serena e felice. La libertà dai
condizionamenti, la pace, la gioia sono patrimonio stabile di questa persona?
Evidentemente no, altrimenti non si sarebbe impantanata in questa situazione.
Lei, certamente, qualche
soluzione per uscirne ce l’ha, ma se questa soluzione non l’ha portata finora o
non la porterà domani a una vita così, rimodellando il proprio modo di vivere
la situazione dentro di sé e con gli altri, il problema si ripresenterà appena
più in là.
Prova dunque a chiederle: «Come potresti recuperare la solidità, la pace e la gioia di vivere che adesso non hai?». Lasciala cercare; tu semplicemente fatti garante che la sua ricerca si muova verso questi obiettivi: è questa la volontà di Dio su di lei.
Un’altra cosa rende spirituale la
ricerca di questa persona: non è sola!
Già la tua presenza, lì a cercare
accanto e assieme a lei, significa e richiama un’altra Presenza, che continuerà
ad accompagnarla anche dopo il vostro incontro.
Una Presenza a cui non deve solo
dire «Grazie che ci sei!», ma con la quale, allo stesso modo che con
l’accompagnatore, prima può sfogarsi, permettendosi di essere arrabbiata, e con
la quale poi potrà confrontarsi, fino, appunto, a trovare assieme una soluzione
che la lasci nella pace, che le ridia la dignità di persona libera e
responsabile, e che, per quanto possibile, le ridia un po’ di gioia di vivere.
Sentirà allora che il suo dolore
è abitato e condiviso da questa Presenza.
E, se non fuori, almeno dentro di lei tutto sarà diverso.
Giunto a questo punto, forse ti
starai chiedendo: «Cosa c’entra tutto questo con me, che non sono un
accompagnatore spirituale?». Ti dirò che diverse persone, dopo aver concluso il
percorso degli Esercizi Spirituali, mi hanno raccontato di essere state oggetto
di confidenze. Forse, avendo imparato ad ascoltare se stesse, gli altri hanno
riconosciuto in loro una capacità di ascolto. Potrebbe succedere anche a te.
Tieni allora presente quanto ti ho detto, ricordando comunque che, prima di
parlare, l’altro dev’essersi saziato del tuo silenzio.
Michele Bortignon
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