10/01/2021

Il dono delle difficoltà

Il modo di relazionarsi con me del mio capo è assurdo e umiliante.

Il mio collega d’ufficio ha rovinato il lavoro che avevo iniziato, portandolo avanti in modo diametralmente opposto al mio.

Con il suo perfezionismo da un lato e la sua trascuratezza dall’altro, mia moglie mi fa saltare i nervi.

I continui rimproveri e le vittimistiche accuse di mia suocera mi stanno estenuando.

Queste alcune esperienze raccolte qua e là. Ne avete altre da aggiungere? Certamente sì, perché tutti abbiamo le nostre spine nel fianco… che non possiamo toglierci.

Certo, qualche volta si scoppia e una bella litigata ci sta… per accorgersi ben presto che non è servito a nulla, che le cose si stanno ripetendo esattamente uguali a prima.

Allora ci teniamo dentro la rabbia che gira, gira e si scarica sul nostro povero corpo, causandoci gastrite, cervicali, mal di schiena, emicrania, insonnia… e chi più ne ha più ne metta.

Senza contare il sottofondo di ansia che presagisce le prossime mosse del “nemico”, ce le fa sentire possibili e reali, e ci fa elaborare altrettante strategie di contrattacco, una più assurda e perfida dell’altra.

Che cosa sta succedendo? Perché queste azioni devianti e queste reazioni esagerate?

Perché tutti abbiamo paura della morte, anche solo di quella piccola morte che incontriamo quando le cose non vanno come diciamo noi, per cui quella situazione si colma di fatica, di sofferenza, di disagio, di non senso, di disperazione.

E, così, tutti cerchiamo di fare andare le cose come diciamo noi, sentendo che solo quella è la nostra salvezza.

In quel momento, la paura ci fa perdere di vista che quello è soltanto un dettaglio della nostra vita. E’ una piccola cosa, ma ce lo fa apparire come il tutto, l’essenziale senza il quale la nostra esistenza è rovinata.

La paura è una scattista: devi reagire subito! Sa benissimo che se l’emozione si raffredda, la ragione ti fa vedere la cosa come realmente è: fastidiosa, ma non terribile. Puoi sopportarla o perché c’è ben altro nella tua vita, o perché quella persona ti dà molto di più di quel che ti toglie, o perché proprio quella situazione ti sfida a reagire in modo diverso dal tuo solito, per cui ti fa crescere in adattabilità, in elasticità, in creatività, in umanità.

Osserviamo questo modo di essere in Gesù che vive la sua Passione: guarda quel che succede quasi con distacco; quell’emotività che l’ha travolto nel Getzemani è ora imbrigliata. E’ soprattutto il silenzio la sua scelta: il silenzio ti colloca in un’isola al di fuori di quel che sta succedendo, dove puoi osservare, pensare, valutare, decidere. Con calma, dandoti tutto il tempo che serve.

Anche dopo aver accettato la sua morte come esito inevitabile delle sue scelte, Gesù non ha fretta di uscirne: condividere gli altrui inferi è un momento privilegiato per capire, per rimanere accanto, per trovare assieme una via di risurrezione.

Gesù toglie alla morte il suo pungiglione: da allora possiamo scegliere di reagire in modo da non farcene uccidere; da allora la morte è l’occasione in cui possiamo imparare, a essere diversi, piantati in ciò che Dio chiama Vita e da cui aspettiamo Vita.

Non è questa la risurrezione?

                                                                                          Michele Bortignon

 

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