11/01/2021

Elogio dell’imperfezione


 Qual è il nostro desiderio quando abbiamo un problema? Che il problema non ci sia più!

La perfezione come assenza di problemi è la nostra meta. Vogliamo creare un vuoto per costruirvi sopra il nostro progetto senza altro che lo disturbi.

“Desertum fecere et appellaverunt pacem”... Mi viene in mente quanto scrisse Tacito parlando della guerra in Britannia: fecero piazza pulita di tutto ciò che li ostacolava e lo chiamarono pace.

La perfezione è come la cima di una montagna: più su non si va.

Anche se costruiamo qualcosa di nuovo, sarà sempre in base a quel che conosciamo, e quindi un nuovo non veramente nuovo; un di più, non un diverso.

Ma se la realtà è molteplice, per comprenderla e armonizzarci con essa, ossia per diventare più uomini, siamo chiamati a lasciarci scalfire nel nostro essere mono-toni, nella nostra visione unilaterale, nel nostro costante tentativo di “reductio ad unum” di ciò che non è poi così semplice da classificare.

La destabilizzazione che ci costringe a cercare e a costruire un nuovo equilibrio è la vita stessa a procurarcela, con uno sgradito ma utilissimo dono: il problema.

La meta non è dunque la vetta, ma il camminare cercando la via verso nuovi orizzonti.

E se la fecondità della vita sta nel camminare, gustiamoci pure le soste, ma non disperiamoci quando è ora di ripartire.

 

A volte potremmo perfino renderci conto che l’imperfezione è bella… C’è una bellezza narrata proprio da quelle imperfezioni che sono nate, col passare del tempo, all'interno di una storia vissuta assieme, ognuna delle quali evoca un ricordo affettuoso che fa bene al cuore. E questo porta a rivalutare quel che c’è proprio così com'è, rinunciando a pretese, aspettative e sogni illusori.

 

Non so a voi, ma a me questa prospettiva acquieta l’ansia e mi riconcilia con la vita, facendomela gustare con quel che mi dà proprio ora, sia quel che sia.

E’ questo che significa essere contenti?

 Michele Bortignon

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