Qual è il nostro desiderio quando abbiamo un problema? Che il problema non ci sia più!
La perfezione come assenza di
problemi è la nostra meta. Vogliamo creare un vuoto per costruirvi sopra il
nostro progetto senza altro che lo disturbi.
“Desertum fecere et appellaverunt pacem”... Mi viene in mente quanto
scrisse Tacito parlando della guerra in Britannia: fecero piazza pulita di
tutto ciò che li ostacolava e lo chiamarono pace.
La perfezione è come la cima di
una montagna: più su non si va.
Anche se costruiamo qualcosa di
nuovo, sarà sempre in base a quel che conosciamo, e quindi un nuovo non
veramente nuovo; un di più, non un diverso.
Ma se la realtà è molteplice, per
comprenderla e armonizzarci con essa, ossia per diventare più uomini, siamo
chiamati a lasciarci scalfire nel nostro essere mono-toni, nella nostra visione
unilaterale, nel nostro costante tentativo di “reductio ad unum” di ciò che non
è poi così semplice da classificare.
La destabilizzazione che ci
costringe a cercare e a costruire un nuovo equilibrio è la vita stessa a
procurarcela, con uno sgradito ma utilissimo dono: il problema.
La meta non è dunque la vetta, ma
il camminare cercando la via verso nuovi orizzonti.
E se la fecondità della vita sta
nel camminare, gustiamoci pure le soste, ma non disperiamoci quando è ora di
ripartire.
A volte potremmo perfino renderci
conto che l’imperfezione è bella… C’è una bellezza narrata proprio da quelle
imperfezioni che sono nate, col passare del tempo, all'interno di una storia
vissuta assieme, ognuna delle quali evoca un ricordo affettuoso che fa bene al
cuore. E questo porta a rivalutare quel che c’è proprio così com'è, rinunciando
a pretese, aspettative e sogni illusori.
Non so a voi, ma a me questa
prospettiva acquieta l’ansia e mi riconcilia con la vita, facendomela gustare
con quel che mi dà proprio ora, sia quel che sia.
E’ questo che significa essere
contenti?
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