Se con la stagione autunnale è questa esperienza sensoriale a darci il senso della morte, i nostri antenati hanno sentito che è così importante averlo sempre presente che hanno creato altri modi (potremmo definirli dei simbolismi sacri) per renderci presenti a questa esperienza.
Me ne sono reso conto durante un recente viaggio in Toscana. Dal paese di Sorano ho percorso la “Via Cava” che porta alla necropoli etrusca: un sentiero di quasi un chilometro, in salita a tornanti verso la sommità del colle, scavato nel tufo per una profondità di 5-6 metri. Nel percorrerlo, la sensazione è di oppressione, di star penetrando nelle viscere della terra, di correre il rischio di rimanere sepolti vivi, a tener compagnia a quei morti dai quali ci si sta recando.
Una sensazione analoga, seppur non così intensa, l’ho provata qualche giorno dopo, salendo per un sentiero fiancheggiato d’ambo i lati da alti cipressi: due muri verdi che salivano compatti verso il cielo. E guarda caso, sono sbucato nel cimitero del piccolo borgo nel quale mi stavo recando. Coincidenza? Non credo: una stessa struttura simbolica si esprime in maniere diverse ma suscita le stesse sensazioni. Con quale obiettivo? Credo che il messaggio che gli Etruschi volevano far passare è che la vita è breve, e sfocia irrimediabilmente in una morte che toglie ogni illusione; è pertanto un’occasione da non sprecare, e vale la pena scegliere con oculatezza il modo di vivere il tempo che ci è dato. A questa struttura simbolica il cristianesimo si è sovrapposto senza cancellarla. Probabilmente, in questi viali di cipressi che portano ai cimiteri l’ha mantenuta e ripetuta considerandola valida a livello estetico, non so quanto comprendendone il significato. La tensione del cristiano è infatti più ottimisticamente rivolta verso la risurrezione, non solo come opportunità di una nuova vita, ma anche come “pareggiamento di conti”, come esigenza di giustizia. Una volta superata la soglia dalla quale non si può più tornare indietro a cambiare le cose, ecco il giudizio. Mi ha colpito vedere, in due stanze attigue nel museo di Cortona, da una parte un dipinto di san Michele arcangelo che con la bilancia pesa l’anima di un defunto, dall’altra un’illustrazione tratta dal libro dei morti degli antichi egizi, dove il dio Osiride sta facendo esattamente la stessa cosa. L’idea della continuazione della vita dopo la morte non è un’esclusiva del Cristianesimo, ma una speranza/certezza insita nell’animo di ogni uomo. Direi, anzi, che sia alla base di ogni fede religiosa e ne fonda l’etica, intesa come via a un positivo realizzarsi di questa nuova vita.
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