Il timore di quel che può succedere seguendo Cristo su una strada di cui intravedo le difficoltà e i problemi può bloccarmi nell’indecisione, in un’immobilità in cui trovo una certa tranquillità, che mi rassicura pur senza soddisfarmi. Non è detto mi trovi in una situazione di peccato o di ignavia. Più spesso ho trovato il mio equilibrio in una religiosità strutturata, che mi ha programmato la vita. In essa ho tutti i miei riferimenti, persone che mi rassicurano semmai mi venisse qualche dubbio, l’approvazione del gruppo a cui appartengo.
E’ una pace che viene da Dio?
“I demoni non tentano più la persona da quando vedono che la via che
segue basta da sola per evitarle di tornare accanto a Cristo” (Francisco de Osuna, Tercer abecedario
espiritual, cap.5). E’ vero, c’è una quiete, una pseudo-pace che deriva
dall’immobilità: non seguo il Nemico, ma nemmeno il Signore. Il tentatore
allora non ha bisogno di farsi vivo facendomi cadere o deviare: sono bloccato,
inerte, all’angolo, per cui non posso nuocergli!
La sensibilità è anestetizzata, i desideri sono congelati dalla paura di
ciò che può accadermi se li seguo, non c’è pensiero sul futuro. «Sto bene così
come sono», mi dico. Non mi manca nulla per una vita normale. Ma il problema è
appunto qui: la mia è una vita “normalizzata”: non vi succede nulla,
nient’altro al di fuori della routine quotidiana. Non c’è avventura, non c’è
scoperta, …non c’è rischio! Solo la sicurezza del prevedibile. E gli eventi
negativi che inevitabilmente accadono li classifico subito come errori di
percorso, qualcosa che non doveva succedere.
Mi mancano le ali per volare nella terza dimensione della vita: la paura
me le ha strappate e l’aquila che ero si è trasformata in un pollo, a cui non
manca nulla… se non tutto ciò che trascende la mera esistenza.
Questa situazione non può bastarmi se ho cominciato a percorrere una via spirituale.
Certo, la paura mi farà dire che in fondo va bene anche così, che ci
sono occasioni per fare il bene anche nella mia situazione senza dover far
nulla di più, che Dio non può volere per me una vita di tormento affrontando
situazioni più grandi delle mie forze, che i miei limiti e incapacità mi
porteranno a fare danni, …
Ma un’insoddisfazione di fondo, una nostalgia dei momenti in cui Dio mi
ha trascinato in alto con Sé mi porta a sentire che neanche così va bene. E non
so cosa fare, incredulo che proprio quella, con tutte le difficoltà che vi
prevedo, sia la via attraverso cui Dio vuole condurmi: «Ma come? Dio non vuol
darmi la pace?»
Occorre allora fare chiarezza sulla via di Dio. A chi Egli sceglie, Dio non prepara una vita senza problemi: non è questa la pace che Egli dà.
«La croce è il prezzo dell’amore» dice S.Teresa d’Avila; «O il nostro
amore è un prolungamento dell’amore di Cristo Crocifisso o è una burla». Ma
perché l’amore ha le dimensioni della croce? Chi è con Cristo ama, e chi ama ha
il cuore che canta, perché riempito di Lui, e, allo stesso tempo, geme, perché
svuotato di sé, del suo diritto a soddisfare il proprio bisogno quando collide
con quello dell’altro, portato a dimenticare l’interesse proprio per cercare il
bene dell’altro. Chi ha fatto esperienza di Dio può amare nella gratuità e
nella mortificazione perché è stato, è e sarà nel suo amore. Questo gli basta e
colma ogni suo bisogno. Chi, se non lui, può amare accettando la croce che
l’amore spesso porta con sé? Anzi, entra volontariamente in queste situazioni,
perché sa che può incontrare Cristo se si mette sulla sua strada. Ed essere con
lui è ciò che sazia completamente il cuore.
La pace promessa da Dio non è dunque una vita senza problemi, ma l’
“Emmanuele”, il Dio con noi.
In compagnia di Cristo c’è compresenza di tormento (la dimensione della
croce) e fede, speranza, amore (la sua presenza, la presenza del suo Spirito,
in noi); il cuore allora, tirato in queste due opposte direzioni, si lacera,
mentre la vita, finora in più luoghi dispersa, si unifica in Cristo, ritrovando
senso, gusto e quella pace vasta e profonda a cui così poco somiglia la
tranquillità dell’immobilismo.
Che cosa mi serve, dunque, per uscire dalle secche dell’immobilismo? Ricordare, riconoscere, rivivere e rigustare la grazia, le esperienze in cui ho toccato l’amore gratuito di Dio che ha trasformato la mia esistenza in vita. Senza la grazia, nessuna esperienza di fede è possibile.
Ma la grazia chiama a una risposta di fede, il cui primo passo è entrare
nella prospettiva di Cristo, lasciando che l’Amore faccia nuove tutte le cose
nella nostra vita.
Sono allora chiamato a fare anche la mia parte: scegliere, decidermi per
Dio con coraggio, disponibilità, generosità e affidamento. “Determinada
determinaciòn” la chiama Teresa: “un grido di protesta contro la situazione
penosa che stiamo vivendo, indotta dai problemi e dalle difficoltà poste
dall’ambiente che ci circonda o dal nostro stesso io”.
Senza “determinada determinaciòn” non si va da nessuna parte: “Coloro
che vogliono percorrere questa strada senza fermarsi fino al termine di essa,
cioè fino a giungere a bere di quest’acqua di vita, è cosa – ripeto – di grande
importanza come debbano cominciare: devono cioè prendere una risoluzione ferma
e decisa di non arrestarsi prima di raggiungere quella fonte, avvenga quel che
avvenga, succeda quel che succeda, si fatichi quanto bisogna faticare, mormori
chi vuol mormorare; bisogna tendere sempre alla meta, a costo di morire durante
il cammino se il cuore non regge agli ostacoli che vi s’incontrano. Il vero
servo di Dio, al quale Sua Maestà ha dato la luce per scorgere la vera strada,
quanto più nel cammino si sente prendere da timori, tanto più cresce nel
desiderio di non fermarsi. Vede chiaramente dove il demonio si prepara a
colpirlo e non solo si sottrae all’urto, ma gli rompe la testa. (Teresa de
Jesus, Cammino di perfezione, cap.21, 1.2).
Oltre alla grazia di Dio e alla nostra “determinada determinaciòn”, è la vita che spero, aspetto e fin d’ora sto gustando a darmi forza per accettare e portare la croce che mi attende sulla strada con Dio: “Sulla via della perfezione tutto ci appare gravoso, e a ragione, perché si tratta di una guerra contro noi stessi, ma appena ci mettiamo all’opera, Dio agisce così efficacemente nell’anima e le dona tante grazie che le sembra poco tutto ciò che si può fare in questa vita” (Teresa de Jesus, Cammino di perfezione, cap 12, 1).
Michele Bortignon
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