
Desidereremmo tutti poter
vivere una vita serena, tranquilla, senza problemi. Ma la realtà è
un’altra e spesso ci troviamo dentro a situazioni, soprattutto di
malattia, che ci rendono questa vita difficile, quasi impossibile e
insopportabile. Quando il dolore fisico o psicologico invade la
nostra vita coinvolgendoci in prima persona, quando i protagonisti
del dramma siamo noi, la nostra reazione è di paura e di rifiuto. Ma
questa reazione al male sarebbe un voler negare la realtà, un
nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che non ci sia il
problema; d’altra parte non possiamo nemmeno permettere al dolore
di farla da padrone e invadere tutta la nostra vita rovinandoci
l’esistenza in modo definitivo. Correttamente dovremmo dire: «Il
mio male c’è, ma io non sono il mio male; io non sono solo la
malattia e la malattia non è tutta la mia vita». Ma come riuscire a
rendere vita vissuta questa affermazione di principio? Come
affrontare la paura, il dolore e la sofferenza che questa mia
malattia mi provoca senza lasciarmi travolgere dalla sua negatività?
Se
osserviamo bene, le emozioni negative sono suscitate soprattutto
dalle recriminazioni per ciò che è stato, attraverso le quali cerco
una causa al mio male, o dalla paura di un futuro immaginato
disastroso, che partorisce angoscianti premonizioni. È quasi
istintivo, quando si è in una situazione di malattia o di
sofferenza, voler cercare a tutti i costi una causa rivangando il
passato, oppure pretendere di pianificare e controllare il futuro.
Ma
l’unico tempo reale è il presente: il passato non c’è perché è
già stato e il futuro non c’è perché non c’è ancora. Occorre
allora vivere qui e ora: non lasciare che il passato domini il mio
presente e che il futuro mi crei preoccupazioni (appunto
pre-occupazioni) che sono solo ipotesi e probabilità.
Vivere
qui e ora significa gustare, accogliere, apprezzare quello che ho
adesso, quello che vivo adesso: amore, amicizia, vicinanza, affetto,
aiuto, ecc…; tutto il bello e il bene che c’è nella mia vita.
Vivere
qui e ora significa anche accettare (non subire) quello che non va:
ciò che non posso cambiare me lo alleo, lo accolgo e lo addomestico.
Addomestico
il dolore, accolgo la sofferenza, mi alleo la paura.
Addomestico il dolore. Lo
vedo come ingrediente inevitabile di questa vita. Il dolore è
selvaggio, non sai né quando arriva, né quando e se se ne va.
Allora chiedo la forza a Cristo, Lui sa che cos’è il dolore. Gli
chiedo di non lasciarmi sopraffare da esso, di non permettere che il
male riempia tutto il mio orizzonte.
Accolgo la sofferenza. La
sofferenza è un male interiore. Sosto nella sofferenza, le parlo,
le chiedo che cosa mi può offrire, che cosa mi insegna, come mi fa
crescere, cambiare, evolvere.
Mi alleo la paura. La paura è
forza vitale: mi salva e mi protegge. Ma, se sfocia nel terrore, mi
blocca. E allora cerco di conoscerla e dominarla per domarla.
Dolore,
sofferenza, paura sono sentimenti che mi possono servire se sono io a
controllarli; mi schiacciano e mi uccidono se mi lascio dominare da
loro e se non imparo a conoscerli.
Alla
fine sono io a decidere se esserne preda o dominatore: la scelta è
mia.
Oltre
a un ragionamento intellettivo e razionale attraverso il quale posso
decidere il cambiamento, c’è un atteggiamento interiore di fiducia
e apertura verso Colui che ha liberamente accettato di vivere il
dolore, la sofferenza e la paura. Gesù mi insegna: ha lottato e ha
vinto il dolore, la sofferenza, la paura, il senso di fallimento e la
solitudine. Gesù mi invita a fidarmi e a vivere qui e ora il
rapporto preferenziale con Lui in questa mia situazione.
Vivere
qui e ora significa concentrarmi sul presente. Penso alle mie azioni,
alle mie parole, ai miei movimenti. Mi concentro sui miei sensi:
ascolto, annuso, tocco, assaporo, vedo. Godo della mia vita,
dell’essere viva; la vivo tutta, la spremo, la consumo.
Il
passato e il futuro li posso immaginare come i bordi della mia strada
e non permetto che la invadano: loro restano là, ai margini. Oppure
me li immagino come la strada dietro e davanti a me: quella fatta e
quella ancora da percorrere. Guardo la strada dove metto i piedi, mi
concentro sul passo che sto facendo, mi gusto il paesaggio che sto
guardando. Solo questo passo. Ho l’energia per fare questo passo
presente, immediato. Non consumo le mie forze a pensare a come ho
fatto i passi precedenti o a come farò i futuri. Qui e ora. Quando
il passato si fa invadente e soffoca il mio presente, non faccio
altro che riconoscerlo, capire perché torna a invadere il mio “qui
e ora”; cerco di capire di quali bisogni è voce, di quali ferite
non rimarginate si fa eco.
Guardando
a Gesù, che vuol fare nuove tutte le cose, accolgo il suo perdono,
il suo invito a perdonare e prima ancora a perdonare me stesso. A
questo punto la smetto di recriminare e, invece, colgo e sottolineo
la lezione che la mia storia mi porge. E lascio andare ciò che è
passato. È passato e basta; punto a capo.
Quando
è il futuro a farmi paura mi rifugio tra le braccia di Dio e mi
sento serena come un bimbo svezzato in braccio a sua madre (Sal
131,2). Mi lascio cullare, contenere, proteggere; mi fido, proprio
come un bimbo si fida di sua madre.
Il
futuro non lo posso controllare, non posso prevederlo: posso solo
fidarmi. Fidarmi di un Dio con me, che non mi abbandona mai.
In
conclusione vivere qui e ora significa rappacificarmi con il mio
passato vedendo in esso la presenza di Dio che mi aspettava e che
fremeva perché mi accorgessi del Suo amore. Inoltre significa
fidarmi che la Sua alleanza dura in eterno: se c’era nel mio
passato, c’è nel mio presente e ci sarà nel mio futuro.
Tutto
questo spetta a me interiorizzarlo e assimilarlo. La scelta
definitiva è sempre e solo la mia: a Lui posso chiedere la forza
dello Spirito per sentirlo e sperimentarlo DIO CON ME.
Maria
Rosa Brian
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