La tentazione, a cui fa cenno Paolo riferendosi ad alcune persone della comunità di Corinto (1 Cor 15), di ritenere la risurrezione non indispensabile per la salvezza, è sempre molto seduttiva, soprattutto al giorno d’oggi, per la nostra mentalità razionalista. Di Cristo si apprezza il suo essere maestro di vita, esempio da imitare, amico che ci ama fino in fondo. Ma questa visione presuppone una sostanziale estraneità di Dio alla storia umana: siamo infatti convinti che la vita dobbiamo gestircela da soli, e di poterla portare a realizzazione se, dopo aver compreso che cosa è bene per noi, anche ispirandoci agli insegnamenti di Gesù, lo mettiamo in pratica con la nostra buona volontà.
L'esperienza ci dice però che da soli non siamo capaci di risorgere da
certe situazioni di sofferenza o di fatica che ci uccidono, tutt’al più di
rianimarci. La risurrezione è opera dello Spirito su una persona
esistenzialmente morta per portarla a una vita strutturalmente diversa dalla
precedente. Non si tratta di un miglioramento, seppur sostanziale. E’ un vivere
non più auto-gestiti, ma etero-gestiti, come dice di sé San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che
vive in me” (Gal 2, 20). Dio risorge una persona per vivere in lei, per
incarnarsi in lei. E questo, lontano dall’annullarla, la fa invece diventare
pienamente se stessa, come Lui da sempre l’ha pensata e sognata (cfr. Ger 1,
5): radicalmente libera dai condizionamenti di un io malato.
Se non ci fosse risurrezione, non servirebbe la fede, ma solo buon
senso, intelligenza, disponibilità a convenire su ciò che è giusto, valutando
la proposta di vita che Cristo ci fa. Sarebbe l'adesione a una filosofia di
vita.
Se Dio non è coinvolto nella nostra vita, come si crede quando si
afferma che non esiste la risurrezione, viene allora naturale concepire la vita
come impresa dell’uomo e non come risposta a una chiamata di Dio da discernere
nelle varie situazioni che ci troviamo ad affrontare.
Adamo è il prototipo dell’empio: colui che si costruisce una propria
giustizia perché non crede in un Dio coinvolto nella propria storia per farla
diventare occasione di salvezza.
Gesù Cristo, invece, è il figlio: colui che nella propria vita,
passione, morte e risurrezione ha vissuto l’affidamento radicale al Padre, alla
sua volontà discreta nel qui e ora di ogni momento della propria storia.
A noi dunque scegliere quale uomo essere: Adamo o Gesù? Colui che
programma il proprio destino o colui che si affida? Colui che affronta la vita
come un caso da gestire o colui che la crede un cammino accompagnato dalla
provvidenza divina? Colui che usa della propria libertà per difendere la
propria vita, secondo ciò che ritiene giusto o sbagliato, o colui che
l’utilizza per donarsi più pienamente all’amore accogliendo le mozioni dello
Spirito di Dio?
Ma l’esito è scontato: in Adamo si muore, in una solitudine illusa di
potenza; in Cristo si riceve la vita: l’esperienza e la prospettiva di un amore
illimitato, che supera il confine della morte. La vita vissuta nella fede,
qualunque morte si trovi ad affrontare, si apre alla risurrezione.
Condividere la gioia di Cristo risorto (EE.SS. n.221) non significa
semplicemente gioire per la sua sorte, ma rifare la sua esperienza di
risurrezione dalla morte per sperimentare la sua stessa gioia. Risurrezione
che, esistenzialmente, è sperimentare che Dio risponde con fedeltà alla mia
fede che lo crede capace di darmi la vita in una situazione di morte accolta
come incontro con Gesù Cristo, in cui abbandonare nella tomba il mio spirito e
nel suo Spirito risorgere.
Quell’allietarmi e gioire intensamente, che Sant’Ignazio fa chiedere
come grazia, non è dunque soltanto l’obiettivo e l’esito dell’esperienza di
risurrezione, ma l’esplicarsi concreto di un atteggiamento di fede che,
nell’esperienza di morte che stiamo sperimentando, lo proclama salvatore, Dio
fedele alle sue promesse, “capace di far
risorgere anche dai morti” (Eb 11, 19): “Di
questo gioisce il mio cuore: perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero
della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua
destra” (Sal 16, 9-11).
Michele Bortignon
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