5/03/2016

Perché la misericordia?

Leggevo oggi che per gli italiani fare giustizia è far soffrire, attraverso il carcere, chi ha fatto soffrire. Il guaio è che 4 su 5 rientrano poi in prigione essendo tornati a commettere gli stessi reati, contro l’1 su 5 di chi è stato invece affidato ai servizi sociali. La stessa cosa sentivo dire riguardo alla pena di morte: negli stati che la praticano non si riscontra una minore incidenza di delitti. Sembra dunque che isolare e castigare non serva a recuperare chi ha sbagliato.
Quando Gesù dice “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo” (Gv 12, 47), sta affermando che non vuole isolare il peccatore, ma rimanergli accanto per recuperarlo.
Non sono però solo gli altri a isolare chi sbaglia: quando capita a noi di fare qualche stupidata, trascinati da impulsi che obbediscono alle nostre paure o alla nostra istintività, siamo noi stessi a isolarci: presi dallo scoraggiamento, ci sentiamo definiti da quell’unico atto sbagliato, come se questo avesse cancellato una storia di bene vissuto quotidianamente. Cosa fa allora Dio? Quando diciamo che la sua giustizia è la misericordia, semplicemente affermiamo che Egli guarda alla nostra vita nel suo complesso, al di là del singolo atto, e vuol salvaguardarne l’andamento, quella linea crescente costruita da gesti, scelte, comportamenti che ci qualificano, che dicono chi siamo. Dio è il custode del suo sogno in noi, dei desideri che Egli ha messo nel nostro cuore e che si sono trasformati in realtà vissuta.
Sempre mi commuove l’episodio in cui Dio impedisce al faraone di toccare la moglie di Abramo, che questi ha fatto passare per sua sorella per non esserne ucciso. “Non toccare la moglie del mio profeta” gli dice. Abramo per Lui continua ad essere il suo profeta, anche se si è mostrato un opportunista e un vigliacco.

“Che diremo dunque? Continueremo a rimanere nel peccato perché abbondi la grazia?” (Rm 6, 1), chiede San Paolo. Che tentazione approfittarci della misericordia di Dio! E’ comunque un Dio ferito dal male che ci siamo fatti e che abbiamo fatto ad altri quello che ci usa misericordia. La misericordia ci ridà in mano un avvenire, ma non cancella le conseguenze sul presente del nostro passato. Dio ci dà una mano per rialzarci, ma riprendiamo il cammino feriti dalla caduta.

Ci chiediamo infine: qual è il nome del demone che ci gioca per impedirci di rialzarci dopo che siamo caduti? L’orgoglio. Non sopportiamo di essere meno che forti, impassibili, vittoriosi sulle tentazioni. Vogliamo meritare l’amore di Dio. E l’alternativa è solo lo schifo di noi stessi e il conseguente buttarci via. Ci sentiamo umiliati dalla sua misericordia! Ma forse è proprio di questo che abbiamo bisogno: un po’ di umiliazione che ci metta in umiltà di fronte alla vita, per accoglierla assieme a Lui, nella Sua verità, anziché cercare di dominarla e distorcerla con la nostra.
Ecco allora che la cosa da fare non è impegnarci a essere più forti, ma donargli la nostra fragilità e sperare nella sua grazia. Anche la primula non si impegna al fiore, ma attende la carezza tiepida del primo sole. Sarà allora Lui in noi la nostra forza: “…Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5).


Michele Bortignon

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