6/07/2016

Il rischio della perfezione

Perché un Dio misericordioso? Anzi, meglio: perché Dio non può che essere misericordioso? Il tuo credere che Dio sia giudice della tua perfezione e, conseguentemente, il tuo voler essere perfetto e credere di poterlo essere… che disumanità per te stesso e per gli altri!
Per te stesso: passi dall’autocompiacimento borioso quando ci riesci alla scoraggiante sensazione di disastro, di totale fallimento quando cadi, quando non ti senti all’altezza di ciò che dovresti essere.
Per gli altri: come lo sei tu, così devono essere perfetti anche loro. Senza nessuno sconto. E diventi implacabile nelle tue pretese, rovinando le relazioni, giudicando tutto e tutti.
Nel frattempo, però, le tue paure premono per essere tacitate, le tue pulsioni per essere soddisfatte… e allora cerchi di crearti un equilibrio fatto di compromessi, in cui pretendi di sentirti a posto salvando capra e cavoli. E’ la falsa coscienza, è quello che i padri dicevano “battezzare con nomi santi intenzioni e comportamenti cattivi”. Il che porta alla “sclerocardia”, all’indurimento del cuore, perché ascolti soltanto le tue ragioni, ti inventi regole tranquillizzanti nella loro “sostenibilità”, e diventi sordo a quella vocina che ti dice «No, forse così non va…!».
Ancora, la perfezione genera la paura di sbagliare e, questa, la rigidità nei comportamenti. Si dice che “il meglio è nemico del bene”; ed, effettivamente, una soluzione “vera” a volte la si trova abbandonando la legge – regola generale ma teorica – e guardando qual è il bene in quella situazione concreta, un bene a volte fuori dai canoni per una situazione fuori dai canoni. Uno bene a cui ti può guidare soltanto lo Spirito che condividi con Cristo quando decidi di risintonizzarti con Lui. Ma, per capire se davvero è un bene, a volte bisogna sperimentare, metterti nelle condizioni di poter valutare quel che fai a partire dalle conseguenze. E questo puoi farlo soltanto se credi in un Dio misericordioso.
Credere non è “Spero che sia così, ma non so”; credere è “Dev’essere per forza così, perché qui porta tutto il mio desiderio profondo, quello radicato in quella verità profonda di me che è Dio stesso”. E allora, se credi che Dio è misericordioso, ossia che non ti abbandona qualunque cosa tu faccia, non ti butta via quando sbagli, allora puoi permetterti di cercare nella vita che cosa dà Vita. Sapendo che può anche capitarti di sbagliare, ma che con Lui puoi guardare, valutare e decidere se tenere o buttare via.
Dio ci ha affidati gli uni agli altri per essere Lui – Amore! – attraverso di noi. Se è questo ciò che stiamo facendo – esprimerci in un amore che ci fa sentire reciprocamente bene – siamo nella verità, e la Verità genera pace e bellezza. Se poi hai già un’esperienza di Dio, discernere è ancora più semplice: porta alla memoria del cuore il gusto di Dio, poi assaggia ciò che stai facendo: tieni ciò che ha il gusto di Dio e butta via il resto.
Nella misericordia del Padre, nella creatività dello Spirito, nella Verità di Cristo, cade allora il bisogno compulsivo di dare nomi spirituali a ciò che spirituale non è, ma fa semplicemente comodo. Quando poi ti succede di cadere, chiedi perdono e riprendi a camminare, ma non cercare di giustificare il tuo comportamento (la falsa coscienza) né lasciarti trascinare dal senso di tragedia (la desolazione). Né la ragione senza viscere né le viscere senza la ragione sono buone consigliere, ma la mente ben piantata nel cuore che ha il gusto di Dio: quando sbagli, Dio ti usa misericordia ridandoti il gusto di Sé.

                                                                                                                   Michele Bortignon

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