Quante volte ti sei chiesto dove
fosse il limite del lecito e del buono in un comportamento di cui vedevi sia le
opportunità che i rischi? Quante volte ti sei trovato a un bivio senza saperti
decidere, perché da una parte si prospettava il rimorso per aver colto
quell’occasione e dall’altro il rimpianto per non averla colta? E intanto ti
risuonava negli orecchi l’eco della tentazione primigenia, a presentare Dio
come un despota che ti priva del gusto della vita: “E’ vero che Dio vi ha detto
che non potete mangiare di nessun albero del giardino?”. E davanti a
un Dio così o ti blocchi, terrorizzato di sbagliare, o ti ribelli, buttandoti
nel peggio che ti trovi davanti.
O tutto o niente: questa è
l’alternativa davanti alla quale ti pone il serpente; e sa benissimo che
entrambe le scelte ti conducono in bocca a lui.
Prova a notare: entrambe le
strade ti angosciano e ti lasciano insoddisfatto. In entrambe, il primo passo è
il compiacimento – o per la tua capacità di resistere alla tentazione o per il
piacere ottenuto nell’assecondarla – e il successivo è la depressione – per una
vita senza gusto o per il disgusto di quanto hai fatto.
Nota anche che entrambe le
alternative sono molto “pensate”: quanto tempo hai passato a dare spazio a
“seghe mentali” che ti dicevano di si e di no e ancora di no e di si, e niente
ti lasciava pienamente convinto, anche se a momenti spinto con entusiasmo verso
l’una o verso l’altra?
Da tempo ho imparato (anche se
ancora non ci arrivo subito!) che quella di Dio è la terza via. Dio non ti
spinge e non ti strattona, ma danza davanti a te e ti invita a danzare con Lui.
Dio danza la vita: non la evita né la travolge, ma si muove con eleganza per
creare bellezza. Sa mettere i piedi al posto giusto: nulla è buono o cattivo in
blocco, ma in tutto c’è del buono da cogliere e del cattivo a cui girare
attorno.
Ultimamente sono riuscito a
penetrare meglio il significato di questa terza via considerando quanto Ignazio
di Loyola dice riguardo alla consolazione senza causa (EESS 336): c’è (secondo
la definizione di consolazione in EESS 316) “un movimento intimo per cui
l’anima resta infiammata nell’amore” che viene da Dio per grazia, così
bello che, invece di accoglierne il compimento con un «Grazie!», se ne vuole
prolungare l’effetto con considerazioni o propositi che però, provenendo da
noi, ci portano per strade solo nostre. Allo stesso modo, ogni realtà è dono di
Dio; c’è un momento in cui la gustiamo col cuore, con la mente, con il corpo, e
tutto ciò che facciamo è un atto di lode che esprime gioia, gratitudine,
esultanza. Ma, già un momento dopo, alla grazia succede la nostra
responsabilità nel gestire questa realtà. Una responsabilità che ora deve far
fronte alle pulsioni che vogliono trasformare il dono - che dà bellezza alla
vita ed è dato per il bene comune - in
una proprietà da usare per soddisfare i nostri bisogni e il nostro esclusivo
piacere. E tutto viene allora trasformato in mezzo per ottenere le tre S:
Sesso, Soldi, Successo.
Praticamente, se il dono di Dio
ci fa esclamare «Che bello!» o «Che buono!», l’uso che ne facciamo dovrebbe far
esclamare a Lui «Che bello!» o «Che buono!». Diversamente, l’uso si trasforma
in abuso: l’abuso di cibo, di alcool, della tua posizione nella società, delle
tue relazioni personali, del tuo tempo, del tuo denaro, delle tue capacità,
ecc..
Come evitare questo rischio? Per
quanto abbiamo detto prima, attenzione ai pensieri che ti spingono e ti
agitano: nascondono un tranello! Dio entra in te con calma forza, ti riempie di
bellezza e di pace e ti trascina con Sé fuori di te, facendoti sentire che ciò
che stai facendo è la cosa più giusta e più naturale del mondo. Se alla fine
riesci a dirgli «Grazie!», certamente veniva da Lui.
Michele Bortignon
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