10/13/2016

Misericordia io voglio, e non sacrificio…

Purezza: è proprio vero che Dio ci vuole senza macchia di peccato e solo così è contento di noi? Come potrebbe pretendere questo da chi ha calato in mezzo ai problemi della vita, già condizionato in partenza dalla storia in cui si è trovato a vivere?
La comunione con Sé a cui ci chiama non è premio a un sovrumano sforzo di adeguamento, ma un cambiamento di cui nemmeno ci rendiamo conto quando ci accorgiamo di essere immersi in una bellezza di cui noi stessi facciamo parte e a cui permettiamo di scaldarci il cuore. E, in questa trasformazione, la sua misericordia agisce aiutandoci a lasciare a Lui gli sbagli che ci amareggiano e ci appesantiscono, per tornare a guardare alla vita con animo vergine e pieno di Lui.
Allora, forse, purezza non è quell’impeccabilità che ci rende esempi dell’impossibile, ma l’umiltà di chi rende le proprie piaghe finestre sulla grazia di Dio, il suo povero voler bene trasparenza di un amore più grande.
«Belle parole!» starai pensando… «Però, nel momento stesso in cui il cuore si apre ad accoglierle, una vocina subdola mi suggerisce: “Ma se tu non fai niente, allora non sei nessuno: la santità la si costruisce eroicamente!”». E’ proprio qui che ti incontri con il più grande inganno nel cristianesimo: il volere e cercare di essere santi; inganno perché cerchiamo di farlo con i nostri criteri. Non siamo chiamati a essere Dio, ma ad amare come Dio. E se crediamo che Dio ama solo i perfetti, anche noi pretenderemo che gli altri siano perfetti per amarli. E ci mancherà la misericordia, che è il cuore e la tenerezza dell’amore; e il nostro amare sarà formale e volontaristico.

Perché allora vogliamo essere perfetti? Per sentire che valiamo qualcosa. E così l’essere amati ci è dovuto perché è meritato. E’ farci un’assicurazione sull’amore.
Essere – come tutti! – fragili e soggetti a cadute lo consideriamo una mediocrità inaccettabile. E la neghiamo rivestendoci di moralismo.

Ma… se proprio la misericordia e non la perfezione fosse santità per Dio? La tenerezza e non l’impeccabilità? Il capire e non il pretendere? Se Dio si aspettasse e rispettasse i nostri sbagli, considerandoli suoi alleati nella nostra crescita umana e spirituale? Se Dio ci amasse – noi, suoi figli – come noi amiamo i nostri figli, di un amore che ci rende uno con loro, cosicché niente da loro ci può separare?

Beh… se Dio è tutto questo, allora è davvero Dio e non il nome che noi diamo al nostro super-io.


                                                                                       Michele Bortignon

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