
Ricordate cosa scrive Ignazio negli Esercizi Spirituali a
proposito delle tentazioni degli avanzati?
[332]
Quarta regola. È proprio dell'angelo cattivo, che si trasforma in angelo di
luce, entrare con il punto di vista dell'anima fedele e uscire con il suo:
suggerisce, cioè, pensieri buoni e santi, conformi a quell'anima retta, poi a
poco a poco cerca di uscirne attirando l'anima ai suoi inganni occulti e ai
suoi perversi disegni.
Qual
è la più grande, anzi, forse l’unica tentazione (perché comprende tutte le
altre) in chi è già determinato a seguire Dio? La perfezione, l’impeccabilità,
il voler essere come Dio per essere degni di Dio. Che inganno! Dio non mi vuole
come Lui nella perfezione, ma con Lui nell’amore: vuole un uomo che ama. E che
ama da uomo: in mezzo a tutte le mie imperfezioni e fragilità. Ed è Lui il
primo che mi incoraggia, per evitare che queste mi distruggano con i sensi di
colpa, lo scoraggiamento e la delusione di me stesso.
Con
tutta la mia incapacità, i miei limiti, i miei sbagli, questo solo voglio che
mi unisca a Te, Signore, e so che può farlo: provo a continuare ad amare. Come
so, come posso, come ci riesco. Ma, con Te, volendo saperne di più, potere di
più, riuscire di più… per sentirmi ancora di più unito a te.
Se
riuscisse davvero a farmi vivere la perfezione, lo Spirito del male mi avrebbe
bloccato: se non sbaglio, cosa imparo di nuovo? E, nella mia autosufficienza
compiaciuta, mi consegnerebbe ai miei nuovi compagni: l’orgoglio e la vanagloria, che figlierebbero in me il
giudizio nei confronti di chi non è perfetto come me. E il mio allontanamento
dall’Amore sarebbe così compiuto.
Personalmente,
credo che non sono io a costruire la mia santità con i miei sforzi e i miei
successi, ma Dio, soprattutto con i miei errori redenti da Lui.
Già
solo accettare questa prospettiva è difficile: vorrei, infatti, essere degno
della stima di Dio, meritarmela con tutte le mie cose perfettamente a posto;
viceversa, se non ci riesco, mi sento un disastro, se non addirittura dannato.
Ma...
Dio ci ha sbattuto lì un manuale di regole dicendoci “Rispettatele e poi faremo
i conti...” o ci ha dato in Cristo una via e nello Spirito Santo un
accompagnatore per discernere i casi della vita e imparare dai nostri errori?
E' pronto a farcela pagare o è disposto a tutto per recuperarci dai vicoli
ciechi in cui ci cacciamo e, anzi, proprio attraverso questi farci entrare in
nuove prospettive?
Mi
piacerebbe tanto -e nutrirebbe la mia autostima!- poter dire “«Io ce l'ho fatta,
io ce la faccio a vincere le mie tentazioni» e poter guardare in faccia Dio
contento di me stesso. Ma, finché ci riesco, probabilmente è perché le mie sono
piccole battaglie, di uno che è talmente pieno di se stesso e cieco ai propri
veri peccati che lo spirito del male gli lascia vincere per confermarlo in una
situazione in cui anche il bene che fa è solo per costruire se stesso.
Ma
quando ti lasci sul serio essere strumento di Dio, quando lo cerchi sul serio
mettendoti in gioco, le tentazioni ti saltano addosso, potenti: alla tua
coscienza sensibilizzata tutto si presenta come grave per distruggerti con i
sensi di colpa; i tuoi sensi, ora pacificati, ogni tanto si ribellano, eccitati
dal voler provare nuove esperienze, che proprio ora si presentano possibilissime;
e poi... continuano ad emergere le tue consuete reazioni istintive, che ora
però ti amareggiano perché non le giustifichi più come prima.
In
questo panorama desolante, ci vuol poco a lasciarsi prendere dallo
scoraggiamento -strumento del demonio per bloccarti e farti desistere.
Eccolo
qua il frutto di un rapporto moralistico con Dio: o la vanagloria o la
depressione, senza vie di mezzo. L'una e l'altra indice della distanza che
abbiamo frapposto con Dio, volendo costruirci da soli.
Forse
l'approccio da tenere nei confronti della tentazione è allora un altro: non
cercare come superarla (per sentirmi perfetto o di nuovo a posto), ma prendere
atto, senza farne un dramma, che sono fragile; che, lasciato a me stesso, cado;
e che, se una parte di me non vuole cadere, l'altra lo desidera ardentemente.
So bene che se chiamassi Dio a starmi accanto ce la farei, ma non ne ho nessuna
voglia: la rinuncia mi sembra quasi negarmi un mio diritto.
Ripeto:
prendo atto di tutto ciò senza farne un dramma. Questo sono io: e proprio
perché sono così ho bisogno che Dio venga a salvarmi, perché da solo non ce la
faccio.
Dio
lo sa che senza di Lui non posso far nulla; sono io che ancora non lo so: devo
arrivare a rendermene conto a forza di fallimenti e conseguenti disillusioni.
Tutto posso in Colui che mi dà la forza. Nulla senza.
Al
diavolo allora tutte le tecniche e le strategie ascetiche per cercare di
resistere alla tentazione. L'unica è cercare di rimanere aggrappato a Lui.
Come? Durante e dopo, pregando, parlandogli, anche mentre sto cedendo,
impedendo alla vergogna di allontanarmi da Lui.
Può
essere anche un semplice gesto: Ignazio di Loyola portava la mano al petto
quando si accorgeva di aver fatto una stupidaggine.
Questo
allora decido, Signore: non voglio più vivere nulla senza di Te. Se non ti
trascino con me anche nella nebbia, come puoi avvertirmi quando mi sono perso e
sussurrarmi all'orecchio di darti la mano perché è ora di uscirne; e che Tu,
fin dall'inizio eri là proprio per esserci in questo momento?
E,
se non riesco io a chiamarti accanto a me, vieni tu. Lo so che sai farlo
prendendomi per lo stomaco e bloccandomi. Se non riesco io ad esserti fedele,
siilo tu a me. Signore, se vuoi puoi salvarmi. Credo che puoi e vuoi farlo
anche quando non ti rendo le cose facili, quando punto i piedi, quando ti volto
le spalle; sennò non saresti il Dio Salvatore, ma lo spettatore dei miei
successi.
La
tua misericordia non è una spinta a tirarmi fuori dai miei problemi, ma il
sottofondo del mio zoppicarti accanto, come posso. E questo è il cambiamento
che essa opera in me: dallo sperimentare la mia capacità allo sperimentare la
tua tenerezza nella mia incapacità. Dalla fiducia in me stesso alla fiducia in
Te; e qui sentire la tua fiducia in me.
Salvarmi,
Signore, ancora una volta non è rendermi perfetto, ma rendermi l’uomo che io
posso essere, indicato dalla mia vocazione: è la mia vocazione, il mio modo
personale di essere Amore con Te che non devo perdere, perché è qui che io e Te
siamo uniti.
Che
liberante, Signore: mi lasci vivere questo e quello, il bene e il peccato, ed
entrambi, vissuti non senza di te, dici buoni per la mia crescita in te. Poi mi
dici: «Vedi di viverli senza mettere in pericolo ciò che sei in me, la tua
vocazione. Questo solo conta. Io voglio te; ti voglio come sei: un uomo. Non
sta a te farti Dio. Io ti farò me. Ma io, solo io, so come farlo. Fidati e
rimani in me».
Michele Bortignon