11/29/2012

La preghiera di intercessione nell'accompagnamento spirituale

A volte, al termine di un colloquio in cui l’emotività della persona è stata dolorosamente sollecitata dall’emersione di sensi di colpa, di inadeguatezza, da sofferenze, tentazioni, paure, angosce, ecc. sento il bisogno di rendere in qualche modo presente quel Dio a cui la persona chiede aiuto, avvertendo essere desiderio stesso di Dio farle sentire la propria vicinanza in questo momento.

Certo, l’essenziale avviene attraverso una Parola che le tocca il cuore e un discernimento che le rischiara la mente, ma a rendere più “palpabile” questa presenza c’è talora bisogno di qualcosa di più.

Nella Bibbia, sono certe azioni simboliche a sottolineare la provenienza da un Oltre di una forza, di un aiuto, di una Presenza che viene affermata a parole. C’è sempre un qualcosa di fisico -un bacio, un abbraccio, un porre le mani sul capo, la consegna di un oggetto- accompagnato da una Parola che mette in relazione Dio e la persona, entrambi presenti nel cuore di chi la pronuncia.
Un gesto simbolico accompagnato da una benedizione è dunque, per i protagonisti delle Scritture, un modo concreto di favorire un’esperienza  di Dio.
Da qui nascono i sacramenti e i sacramentali, che santificano, mediante un rendere presente Dio in gesti e Parole, certe occasioni della vita umana.
Ma, come abbiamo detto, non ci sono solo queste occasioni speciali e richiedere una speciale presenza di Cristo, e Lui stesso, nelle sue ultime parole rivolte agli undici prima di ritornare al Padre (Mc 16, 17-18), ci indica quando e come vuole essere presente attraverso “quelli che credono”: facendosi tramite della sua azione (nel mio nome”), con dei gesti (“imporranno le mani”) diranno le parole necessarie per quella situazione (“parleranno lingue nuove”) senza lasciarsi travolgere dalla negatività presente in essa (“prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno”) e così libereranno le persone dalle paure (“scacceranno i demòni”) che rovinano loro la vita (“guariranno i malati”).
I gesti sono gesti che questi “credenti” hanno visto fare da Lui, le Parole sono quelle che hanno ascoltato dalla sua bocca. Ma, poiché in queste situazioni sono necessarie delle parole “efficaci”, dobbiamo riferirci a quelle a cui Gesù stesso ha attribuito un’efficacia particolare riunendole nella preghiera che il Padre non può non ascoltare rispondendo con il dono del suo Spirito (“il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” Lc 11, 13), che, accompagnando la persona a vivere nell’Amore, la “salva” nella situazione che sta attraversando.
L’invocazione dell’accompagnatore, in questi frangenti, dovrà perciò plasmarsi sulle richieste contenute nella preghiera che Gesù ci ha insegnato.

Le prime tre richieste, riguardanti Dio stesso (“sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”) esprimono l’obiettivo di quel che chiediamo per noi: Dio agirà per noi se lo lasciamo agire in noi e attraverso di noi; se l’amore, che è la sua Vita, diventa la nostra Vita.

Queste richieste vengono rivolte a un Dio rivelato da Gesù come “Padre”.
Chiamandolo “Padre” affermiamo che siamo suoi figli, per cui possiamo chiedere con fiducia, sicuri che Egli, al di là delle nostre richieste, discernerà il nostro bene e verso di esso orienterà il nostro cuore.
Chiamandolo “Padre” esprimiamo il nostro desiderio di essergli pienamente figli e quindi la nostra volontà di trovare in Cristo, suo Figlio, la via per esserlo.
Rivolgendomi, come accompagnatore, al “Padre Nostro” affermo che puoi  contare su Qualcuno che si interessa a te, che vuole il tuo bene e che, essendo anche Padre mio, attraverso di me ora vuol esserti vicino per dirti qual è il suo cuore e quale il suo sguardo su di te.

La parola che, accompagnata da un gesto, rivolgo alla persona è definita “preghiera di intercessione”. In essa chiedo al Padre di trasformare questa situazione dando alla persona lo Spirito di suo Figlio Gesù Cristo, il crocifisso-risorto. Guardando allora alla situazione con lo sguardo e il cuore di Dio, assieme possiamo vederla come punto di partenza verso un bene maggiore. Entrando nel suo amore e nel suo modo di amare, troviamo la chiave per trasformare questa morte in una risurrezione, questo disastro in un bene che non ci sarebbe mai stato se tutto fosse rimasto come prima, senza questa situazione. E’ questo che ci mette in sintonia con Cristo, che ci fa essere Lui: la capacità di trasformare un male in un bene più grande. Con le parole che dico aiuto la persona ad entrare nello Spirito del Cristo e a far proprio il modo in cui Gesù vuol vivere in lei questa situazione.

Come dire questa Parola? Ci sono due passi da fare:
  1. portare la situazione al Padre, come è vissuta dalla Persona;
  2. portare la situazione alla persona, come è vissuta dal Padre.

Quali sono le situazioni da affrontare?
Essenzialmente tre, identificabili nelle tre successive richieste al “Padre nostro”, ciascuna caratterizzata dalla paura o dall’esperienza del fallimento nell’ottenere il soddisfacimento di un bisogno avvertito dalla persona in maniera angosciosa:
 “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: esprime la paura o l’esperienza del fallimento nel benessere. L’affidarsi all’Amore e diventare amore per gli altri ne è la cura.
 “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: esprime la paura o l’esperienza del fallimento nelle relazioni. Il perdono ne è la cura.
 “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”: esprime la paura o l’esperienza del fallimento nel perseguire il proprio progetto di vita. Il rendersi interiormente liberi, attaccandosi a un bene più grande, ne è la cura.

Perché, come accompagnatore, posso rivolgere queste richieste al Padre?
Posso chiedere, per chi non ne è capace o non è in grado di farlo, quello che tutti assieme chiediamo al Padre per noi stessi. E, pregando alla sua presenza la sua situazione, gli insegno cosa chiedere e come chiederlo.

Le parole che dico nella preghiera di intercessione le accompagno con un gesto. Un gesto che deve essere un contatto fisico per rendere concreta, simbolicamente sperimentabile nella mediazione dell’accompagnatore, la prossimità che Dio le sta promettendo.
Prendere le sue mani tra le mie mani, posarle la mano sulla spalla o sul capo, un abbraccio sono gesti che, attraverso il corpo, parlano direttamente al cuore, provvedono la comprensione della mente, che sta ascoltando la Parola, di quell’emozione che la trascina con sé a posarsi sulle ferite del cuore, portando una promessa di guarigione e suscitando così la speranza che innesca la fede e l’amore.

                                                                                                Michele Bortignon


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